Come nasce un secondo mandato al Quirinale? Intervista all'ex portavoce di Napolitano
L'ipotesi Mattarella-bis e le similitudini con il predecessore. "C'è la stessa infantile confusione di allora", ci dice Pasquale Cascella
“Ma cosa volete che risponda un presidente? Pensate che dica: ‘Sì, mi ricandido’. Non lo disse neanche Pertini, che pure ci teneva a essere ricandidato”. E Pasquale Cascella, settant’anni, notista politico dell’Unità, quella vera, dunque giornalista, sì, ma anche funzionario del partito (il Pci), sa bene di cosa parla. Per esperienza. Sette anni al Quirinale, tra arazzi e i corazzieri. Portavoce di Giorgio Napolitano. “Anche lui, sul finire del primo mandato, proprio come Sergio Mattarella, si recò in una scuola. E lì disse che non aveva intenzione di restare, malgrado glielo chiedessero. E davvero Napolitano non avrebbe voluto. Tutti noi consideravamo quel lavoro concluso. Difatti io accettai di candidarmi sindaco nella mia città di origine, Barletta”. Poi la storia ha preso un’altra direzione, com’è noto. E il presidente vegliardo, quello che diceva “qui si sta bene, è tutto molto bello, ma è un po’ una prigione”, si ritrovò di nuovo al Quirinale. Il primo rieletto per un secondo mandato nella storia della Repubblica, alla veneranda età di ottantotto anni. Ora il Pd vorrebbe il bis di Mattarella. “C’è la stessa infantile confusione di allora. Napolitano disse di sì perché la situazione era drammaticamente attorcigliata e tutti i partiti erano andati da lui a pregarlo. Oggi cosa pretendono da Mattarella? Lo vogliono rieleggere insieme? C’è la possibilità che ognuno voti un suo candidato e che poi si trovi la maggioranza in Parlamento? Sono elementi di una discussione politica che nessuno ha svolto”.
Confusione oggi e confusione allora. “Negli ultimi mesi del settennato arrivavano voci, richieste di ricandidatura. Ma Napolitano non si era mai dichiarato disponibile. Guardate che il peso di quell’incarico è enorme”. D’altra parte ogni cosa nella politica italiana in questi anni si è frantumata per finire spiaggiata, come avanzi di un naufragio, davanti al portone del Quirinale. “Nel 2013 i partiti s’incastrarono in un’inaudita crisi istituzionale”. Non riuscivano a eleggere il capo dello stato. Impallinato Marini, poi anche Prodi con i famosi 101 franchi tiratori. “Impasse. Stallo. Ma vi pare normale? Ricordo con grande ambascia quella mattina in cui vennero tutti col cappello in mano, in processione”. E solo allora Napolitano accettò la ricandidatura. “Tornò a casa per decidere anche con la famiglia. Fu un tormento collettivo. Perché si vedevano tutti gli elementi di difficoltà di quella scelta. Soprattutto da parte del presidente. Lui viveva la ricandidatura come una specie di sconfitta. Aveva lavorato sette anni per restituire un quadro di stabilità istituzionale, e invece quella situazione in Parlamento rendeva evidente che il suo lavoro era un’incompiuta. Le cose non si erano affatto messe a posto”.
Buzzurri urlanti, schegge impazzite, campagna elettorale permanente, fragilità di sistema e piccoli calcoli di fazione. Oggi come allora. “Il parallelo più evidente è la totale vacuità del dibattito. Invocano Mattarella perché non sono capaci di trovare convergenze che pure sarebbero obbligate? In queste condizioni, se vuoi assicurare continuità alla legislatura, devi avere un capo dello stato che trova credito in tutti gli schieramenti che compongono la maggioranza di governo. I partiti non si possono dividere sul capo dello stato e poi pensare di andare avanti con un governo di grande coalizione. E’ un non senso politico. E poi c’è anche qualcosa di sgradevole, se posso”. Cosa? “Il ragionamento è questo: se si vuole mantenere Draghi sino alla fine della legislatura si deve anche mantenere Mattarella al Quirinale fino alla fine della legislatura. Altrimenti Draghi, col passaggio al Quirinale, determinerebbe la crisi di governo. E non si capisce chi possa prendere il suo posto. Un altro Draghi non esiste. Ma nemmeno si può chiedere a Mattarella di farsi rieleggere per stare in carica un anno e qualche mese, abbastanza da terminare la legislatura, pensando che poi se ne debba andare per fare posto a Draghi”. Non così volgarmente. Una volta Emanuele Macaluso raccontò che Napolitano, il quale aveva vissuto con partecipazione i primi sette anni al Quirinale, visse invece con sofferenza i successivi due anni “visto come si comportavano quelli che in ginocchio gli avevano chiesto di restare”. E forse anche stavolta c’è poco da fidarsi.