Nel nome del civico
Nessun nome dal vertice di centrodestra per Roma e Milano
Altro incontro a breve. Salvini assicura: "Sono usciti nomi nuovi", ma chissà. Il nodo Copasir che pesa, oltre ai grandi no di Bertolaso e Albertini
“Lunedì troveremo la soluzione e metteremo le cose a posto”, questo aveva detto Matteo Salvini due giorni fa. Peccato che il vertice del centrodestra a tema elezioni amministrative d’ottobre — presenti, tra gli altri, lo stesso Salvini, Giorgia Meloni e Antonio Tajani – non abbia dato la soluzione al problema numero uno: chi far correre a Roma e a Milano? E lo si era capito, che il temporeggiare sarebbe stato l’approdo per le due grandi città: a pochi minuti dall’inizio della riunione, infatti, Salvini, a domanda sul che cosa sarebbe successo, se ne andava dicendo che il vedersi sarebbe servito a “ragionare, ragionare, ragionare”.
Ragionare può essere complicato, però, nonostante l’accordo trovato una settimana fa per i comuni medio-piccoli (riconfermando per lo più i sindaci uscenti), e nonostante quella che viene presentata come intesa quasi raggiunta sui candidati per Torino, l’imprenditore Paolo Damilano, e per Napoli, il magistrato Catello Maresca. Intanto aleggiava, sul vertice che faticava a trovare la quadra, un sondaggio Technè per Adnkronos che dava il centrodestra su Roma al 43 per cento, e soprattutto permaneva l’ombra del caso Copasir (cioè dimissioni del leghista Raffaele Volpi e veti su Adolfo Urso), con la tensione Lega-FdI ad inasprire l’altro cruccio, quello appunto sul nome che non c’è, dopo la grande rinuncia di Gabriele Albertini a Milano e di Guido Bertolaso a Roma.
Come arrivarci, dunque, al pronosticato 43 per cento su Roma, questo il quesito e il problema di oggi, dopo mesi estenuanti trascorsi a dibattere se il profilo del candidato per la capitale dovesse essere civico o politico (ma ieri Maurizio Gasparri, commissario azzurro su Roma, il cui nome ricorre quando si vira verso la direzione politica, diceva “ci sono ma non mi autocandido”, e Tajani definiva il compagno di partito “nome di prestigio, ma noi siamo per candidati civici che allarghino i confini del centrodestra”). E se da FdI, nei giorni precedenti, con molto disaccordo interno, di civico era uscito il nome del professore Enrico Michetti, anche detto “il tribuno di Radio Radio”, su Milano, sul lato Lega, era stato fatto il nome di nome di Annarosa Racca, presidente Federfarma Lombardia (anche se, alla vigilia del vertice, nel centrodestra locale si riparlava di Maurizio Lupi). Fatto sta che alla fine usciva una nota che diceva per non dire: “Il centrodestra correrà unito in tutte le città che andranno al voto: sul tavolo ci sono molti profili, alcuni inediti che si sono fatti avanti recentemente. Proprio per questo ci sarà un altro vertice a breve, dopo alcuni approfondimenti sugli aspiranti sindaci più interessanti” (commento di un insider: “Nomi nuovi? Mah”). E correva il dubbio che il casting fosse più che altro un casting apparente su “nomi dello schermo” buttati sul tavolo alla riunione.
“Siamo concordi nel voler mettere in campo candidature civiche”, assicuravano in coro i leader del centrodestra. Il “vogliamo i civici” era insomma leit-motif e parola magica di temporeggiamento per i due litiganti sul Copasir, Giorgia Meloni (che però sottolineava come “Michetti e Racca” fossero “nomi interessanti come altri”) e per Matteo Salvini: “Sono finalmente usciti diversi nomi di civici, quattro o cinque, stiamo aspettando risposte da primari e imprenditori…Michetti e Racca di serie B? Non ci sono nomi di serie B”.