Idee per riformare la Pa e approfittare della mano che ci tende l'Ue

Massimiliano Atelli e Giacinto della Cananea

Semplificazione e digitalizzazione non bastano. Per fare un salto di qualità servono efficienza, preparazione del personale e separatezza della politica. Altrimenti gestire il Recovery diventerà impossibile

Nell’Italia del 2021 è divenuta ancora più evidente la contraddizione di fondo che il paese vive, tra il fare parte fin dall’inizio dei fondatori dell’Ue e il non essere riuscito a rimuovere gli ostacoli che gli impediscono di cogliere appieno le opportunità offerte dall’integrazione europea. Dall’epoca di Cavour non era mai accaduto che l’economia italiana non progredisse nell’arco di ben due decenni. Non era mai successo nemmeno che gli investimenti pubblici subissero una così prolungata contrazione. Non si era mai manifestata in modo così palese nemmeno la situazione svantaggiosa in cui si trovano i cittadini e le imprese nei confronti delle pubbliche amministrazioni, rispetto ai partner europei, per via dei più elevati oneri amministrativi e fiscali e della bassa qualità di molti servizi pubblici. 


Per invertire la rotta, le semplificazioni amministrative, da realizzare con leggi acconce, e gli investimenti nella digitalizzazione sono necessari, ma non sufficienti.  Poiché la questione è culturale, bisogna intervenire sulla cultura degli addetti alle pubbliche amministrazioni. L’azione governativa e parlamentare dovrebbe rispondere a tre requisiti: migliorare la preparazione tecnica del personale pubblico, rafforzare l’orientamento all’efficienza, riaffermare la separatezza della dirigenza dalla politica.

 

Anzitutto, l’attività di addestramento e di formazione deve colmare il deficit di preparazione di molti ad affrontare impieghi sempre più impegnativi per via delle innovazioni tecnologiche. Deve, inoltre, rafforzare l’impegno comune rivolto alla concreta soluzione dei problemi. Il secondo requisito è d’importanza fondamentale per il buon funzionamento degli apparati pubblici. L’aver enunciato a livello legislativo – da molti anni – i princìpi dell’efficienza e dell’efficacia dell’azione amministrativa, evidentemente, non è bastato. Mettere in primo piano l’efficienza non vuol dire far scadere la tensione per la regolarità formale dell’azione pubblica, bensì evitare di concentrare l’attenzione soltanto su di essa, facendo  scivolare in secondo piano i risultati che le amministrazioni devono conseguire, nell’interesse della società tutta. Va quindi rafforzato l’orientamento ai risultati, alla stregua dei quali va valutato il rendimento dei dirigenti pubblici. Va, inoltre, ristabilita l’imparzialità della dirigenza pubblica.

 

Una rinnovata cultura amministrativa non può prescindere dal superamento delle leggi e delle prassi che, da più di venti anni, hanno rafforzato la presa dei politici su quanti guidano gli uffici pubblici. Se l’insieme di queste azioni non verrà prontamente impostato e avviato, non soltanto il sistema amministrativo italiano subirà un’ulteriore involuzione, e con esso l’intera società, ma diverrà impossibile gestire in modo efficiente e tempestivo le risorse finanziarie che l’Europa può erogare