(Lapresse)

La giustizia sociale spiegata a Letta

Giuliano Ferrara

Caro Pd, un partito progressista ed europeista non può abbracciare il socialismo strampalato di Sanders e Ocasio-Cortez. Uno sviluppo giusto della società non si costruisce colpendo la creazione di ricchezza

La giustizia sociale, verrebbe da dire a Enrico Letta, che promuove un ritorno del Pd e dei progressisti ai sani, vecchi princìpi della redistribuzione messi in ombra dal capitalismo globalizzato e mercatista degli ultimi decenni, non si realizza perseguendola. Fosse così semplice, avrebbero funzionato perfettamente i mezzi della pianificazione economica, del dirigismo di stato, del peronismo selvaggio: erano mezzi orientati alla produzione di giustizia sociale, in teoria.

Invece la lezione della storia a cavallo dei due secoli nostri dice che uno sviluppo giusto della società non si costruisce colpendo la creazione di ricchezza, sempre sospetta di essere mera percezione di rendita o privilegio, e umiliando le élite cosmopolite che coltivano i loro interessi legittimi in regime di circolazione libera dei capitali, né si realizza predicando un personalismo comunitario della dignità, molto vicino a un confuso moralismo filosofico, nato negli anni Trenta del Novecento in opposizione al conformismo totalitario dei fascismi e del socialismo reale Lo sforzo del nuovo segretario del maggior partito della sinistra italiana è di competere con il riflusso populista che ha scippato ai progressisti la rappresentanza di interessi lesi dallo sviluppo consegnandola alle destre rampanti, sforzo encomiabile. Il sospetto è che, concepito come emerge da un suo recente scritto, sia una fatica di Sisifo.

 

Macron cinque anni fa fu messo in croce perché diceva che in una cordata la soluzione non è di indebolire i primi della catena ascensionale ma consolidare il contatto con loro, se non si vogliano guai. Letta sostiene che una locomotiva forte non è la soluzione per i vagoni, perché il treno deraglia, e sono guai per tutti. Fuori di metafora – certe metafore nascono per poi essere felicemente bloccate – non è mettendo lo studente disconnesso e il lavoratore cinquantenne che perde il posto contro il movimento elitario dei capitali, erigendo un nuovo muro fiscale redistributivo, che si risolve il problema della giustizia sociale e di una rappresentanza di interessi alla quale la sinistra europea dei Macron, dei Blair, dei Renzi aveva rinunciato colpevolmente.

La Brexit, Trump e ora il johnsonismo vittorioso nelle barriere laburiste, come anche il minestrone populista italiano o spagnolo, non sono un passo avanti verso la giustizia sociale, e il problema dei progressisti non è mettersi a quel passo. Liberismo, deregulation e globalizzazione hanno comportato delle crisi sociali estese, e a nessun fenomeno economico sono estranei l’avidità e la fretta animalesca, ma le diseguaglianze tendenziali e progressive di cui si discute a Science Po, praticamente Piketty, non sono dimostrate, non sono suffragate dall’evidenza dei fatti.

 

E’ dimostrato invece che il capitalismo occidentale, sempre in via di riforma e cambiamento, ha prodotto un’estesa rete di protezione sociale, un eguagliamento di fatto e di diritto prodotto dallo spirito mercantile e tecnologico dello sviluppo riavviato negli anni Ottanta del secolo scorso, di cui abbiamo avuto un saggio nella pandemia e nella cura pubblica di un vasto male sociale, basti pensare comparativamente al destino cinico e baro delle società che su questo piano vivono in condizioni di arretratezza di tipo arcaico. La svolta europea della mutualizzazione parziale del debito e la flessibilità di sistema nell’abbracciare politiche di sostegno sociale finanziate dal debito pubblico sono un altro aspetto della faccenda.

E oggi in Europa un partito progressista ed europeista non può, per ragioni evidenti di primo acchito, abbracciare il socialismo strampalato e occasionale di un Bernie Sanders o di una Alexandria Ocasio-Cortez, altro che Jo Biden, per competere con populismi insediati nella piccola impresa e impegnati a sfruttare le circostanze con estremo cinismo sociale. Qui si spende come a Washington, qui si prende atto del nuovo ruolo dello stato nel governo della crisi mondiale, ma non sarebbe progressista, per dirla con Letta, ridirigere queste risorse e energie contro lo sviluppo e le sue premesse. Letta è un cattolico democratico che guida un partito costruito insieme con i post comunisti, certe cose si spiegano, si comprendono e si accettano in linea di principio, ma per la giustizia sociale bene intesa occorrono, come anche lui sostiene, idee, formule e soluzioni appropriate, non la rincorsa neo-classista. Per adesso non si vedono.
 

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.