Uggetti al Foglio: "Spero che le scuse di Di Maio portino un cambiamento nel M5s"

Luciano Capone

Parla l'ex sindaco di Lodi. "Che il mio minuscolo caso possa essere di aiuto a una riflessione più generale. Basta fare politica sul tintinnare delle manette. Quelli del M5s sono stati davvero inqualificabili"

“Le scuse di Di Maio non me le aspettavo. Le sue parole sono belle e credo, voglio sperarlo, che siano sincere. Mi fa molto piacere il riferimento non solo a me, ma anche alla mia famiglia, alla sofferenza degli amici che mi sono stati vicino”. Simone Uggetti, ex sindaco del Pd di Lodi da pochi giorni assolto dall’accusa di turbativa d’asta dopo il clamoroso arresto di cinque anni fa che lo costrinse alle dimissioni, accoglie con sorpresa e piacere le scuse che, in una lettera al Foglio, gli ha rivolto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Nel pieno delle elezioni amministrative del 2016, l’allora capo politico del M5s fu protagonista di una feroce campagna di demonizzazione nei confronti di Uggetti con modalità che, scrive Di Maio, “appaiono adesso grottesche e disdicevoli”. 

 

Chiedere scusa, a volte, può essere un gesto opportunistico. “E’ comunque un bel gesto – dice Uggetti al Foglio – e spero che abbia un significato politico profondo”. Di Maio dice basta alla “gogna come strumento di campagna elettorale” e chiede una riflessione al suo partito, che ne ha fatto negli anni un uso ampio e sistematico. “Era ciò che auspicavo nelle mie prime dichiarazioni dopo l’assoluzione, che il mio minuscolo caso possa essere di aiuto a una riflessione più generale. Smettere di fare politica sul tintinnare delle manette, con i cappi in Parlamento, a chi urla più forte ‘in galera! in galera!’, ma farla su ideali, valori, visioni e programmi. Non ci può essere l’auspicio, o addirittura la soddisfazione, in un’indagine o nella riduzione della libertà di un avversario politico”. E’ un problema solo della politica? “E’ un problema di una giustizia che non cerchi per forza il condannato, la bestia da esporre nel circo mediatico-giudiziario. C’è una responsabilità della magistratura ma anche dei giornalisti, con le dovute eccezioni. Io non voglio essere un martire ora, come non volevo essere un mostro allora. Vorrei solo una giustizia giusta, per tutti”. Cinque anni fa, invece, la condanna era già arrivata a mezzo stampa con l’arresto. Prima del processo. “Ora mi cercano tutti i giornali perché sono arrivate le scuse di Di Maio. Ma fino a ieri la mia assoluzione era una notizia da trafiletto, eppure cinque anni fa ero sulle prime pagine di tutte le testate nazionali, e per tanti giorni. Il mio arresto era l’argomento di tutti i programmi di approfondimento”.


Cosa l’ha ferita di più di quel tritacarne, di quella campagna d’odio nelle piazze reali e virtuali? “Prima ancora degli attacchi del M5s, il gip che scrisse che avevo una ‘personalità negativa e abietta’. E poi la Lega che come il M5s organizzò una manifestazione in piazza. Salvini non si presentò, forse perché in città avevano capito che c’era qualcosa di storto, ma quando poi tornò a Lodi in campagna elettorale sul palco mimò il gesto delle manette, per ricordare che ero stato arrestato. Salvini fa il garantista quando gli conviene, quando è imputato lui. Quelli del M5s sono stati davvero inqualificabili, ma spero che questa lettera di Di Maio li porti a un percorso di maturazione”. Pare un percorso accidentato. Toninelli, uno dei suoi grandi accusatori, dice che non deve scusarsi di nulla che comunque c’è un problema di moralità. “Quando senti parlare Toninelli cosa puoi fare? Ho sorriso. Mi spiace per lui, deve avere una vita difficile per covare un astio così nei confronti di una persona che non conosce”. 


Il tema del garantismo e dell’uso politico della giustizia riguarda anche la sinistra, che spesso ha cavalcato le inchieste contro i suoi avversari. “Riguarda anche me. Da ragazzino, quando avevo 19 anni ed ero appassionato di politica, eravamo nel pieno di Mani Pulite e, adesso me ne vergogno, ma allora esultavo quando c’erano degli arresti. Nessuno di noi è immune a questo impulso”. E’ stata la sua vicenda a farle cambiare idea? “Ben prima. Vidi un sindaco di Lodi, Aurelio Ferrari, una persona per bene, un cattolico del fare, subire 7 anni e mezzo di processo per una sciocchezza. Capii che c’era qualcosa che non funzionava: se capita ad Aurelio Ferrari, può capitare a chiunque”. E su cosa invece il suo arresto e il suo processo le hanno fatto cambiare modo di vedere? “Ero un sindaco decisionista, forse avevo anche un’ansia da prestazione, in tre anni ho fatto tantissime cose ed ero guidato da un motto che ripetevo sempre anche ai miei collaboratori: male non fare, paura non avere. Devo dire che era un motto un po’ ingenuo”.
 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali