Il retroscena
"È il solito furbo". Lo sfogo di Conte contro Di Maio, poi la frenata: "Segue la mia linea"
Il titolare della Farnesina si infila nella mancanza di potere tra i grillini, sfruttando i tempi lunghi dell'Avvocato del popolo
L'ex premier contrariato per la mossa del ministro sulla giustizia: non lo aveva avvisato e nemmeno lo cita nella lettera al Foglio. Lo stallo nel M5s continua e anche Grillo inizia a essere perplesso: "Bisognava trovare un accordo con Casaleggio"
E’ dunque il Conte sorpassato? Nel giorno in cui l’ex premier celebra il “patto per Napoli”, Luigi Di Maio sta preparando la svolta più significativa del M5s. Poi, all’indomani, deflagra la lettera del ministro degli Esteri e l’Avvocato è costretto a rincorrerlo. Di Maio non aveva avvisato Conte e non lo ha nemmeno citato nel suo intervento. La prima reazione dell’ex premier, con chi lo chiama, è questa: “Luigi è il solito furbo”. Poi capisce che può solo dissimulare: “E’ in linea con i principi del mio nuovo Movimento”. Ma quando arriva? Anche Beppe Grillo inizia a essere “perplesso”.
La piroetta di Di Maio cade con un tempismo perfetto e rimbalza nel vuoto di potere che vive il M5s. Una situazione che si trascina da mesi e che inizia a preoccupare perfino Grillo, che tanto ha spinto per passare lo scettro a Conte e che ora ha ben altre faccende a cui pensare: “Perché non si riesce a partire?”.
I dubbi di Beppe vengono fugati quasi quotidianamente dall’ex premier che lo rincuora al telefono. Grillo spingeva per un accordo con Casaleggio: si è parlato di una cifra, secondo quanto risulta al Foglio, di circa 300mila euro per sbloccare il contenzioso con Rousseau. “Ma Crimi e Giuseppe preferiscono percorrere altre strade”, racconta con amarezza chi è in contatto tutti i giorni con l’ex comico. E così si aspetta il Garante per la privacy che prima di decidere convocherà anche Casaleggio sulla questione dei dati.
Il brodo dunque si allunga, i parlamentari sono spaesati, le nomine volano sopra la testa dei grillini, e Di Maio mette la freccia e sorpassa Conte (ma non ci sono le corna da film di Risi) su un tema essenziale: la giustizia, la dignità dell’uomo senza tralasciare però l’etica pubblica. “Sono concetti che ho già avuto modo di esporre pubblicamente negli incontri con i parlamentari e che fanno parte della carta dei valori che ho scritto”, fa trapelare Conte dalle sue riunioni pomeridiane, quando ormai la politica italiana da ore non parla di lui, ma di Di Maio.
Il ministro degli Esteri ha sganciato la bomba ed è volato a Tripoli a evocare strategie “con l’Ue per la sicurezza del sud”. Il rapporto tra i due, Luigi e Giuseppe, si muove tra i non detti. E si gioca su quella mancanza di sincronia che sembra caratterizzare Conte (d’altronde come non ricordare la foto del suo orologio fermo alle 17.55 durante la solita conferenza stampa delle 21 a Palazzo Chigi?).
Di Maio si gode l’effetto dell’ennesima svolta (“Il M5s è un partito liberale e moderato”, aveva detto a Repubblica lo scorso febbraio) e non ci ritorna su. Ci pensano gli altri: da Iv a Calenda, passando per Forza Italia e il Pd (ecco Enrico Letta: “Basta guerra dei trent’anni tra giustizialisti e impunitisti”).
Tutti gli riconoscono l’impronta del leader e gli chiedono, sì proprio a lui, che il M5s sia consequenziale ora che dovrà chiudere la riforma della giustizia. La contrapposizione, che Conte pubblicamente è costretto a negare, è nei fatti.
E basta anche registrare il tenore delle dichiarazioni nel M5s. Alla Camera, dove il ministro degli Esteri conta più fedelissimi dell’ex premier, sono tanti i big a uscire in suo sostegno: Sergio Battelli, Francesco D’Uva, Lucia Azzolina, Stefano Buffagni. Al Senato, dove i valori sono capovolti, regna il silenzio. Tacciono i ministri grillini, ma dal sottogoverno ecco il sottosegretario ai Trasporti Giancarlo Cancelleri: “Di Maio ha la stoffa del leader, Conte si sbrighi”. Un’affermazione dritta e secca che racchiude tutto lo scontro in atto e soprattutto i cattivi pensieri di due che non si sono mai amati. Per esempio Conte rinfaccia a Di Maio di non aver aver fatto nulla per bloccare la votazione su Rousseau per l’organo collegiale a sostituzione del capo politico (la causa dello stallo) nei giorni in cui da un banchetto fuori Palazzo Chigi si disse disponibile a guidare i grillini. Il predellino ancora attende i fatti e intanto Di Maio è “mister nel frattempo”.