(foto Vigili del Fuoco)

Roma, la Smart City che inghiotte le smart

Andrea Venanzoni

Mentre la Raggi ciarla di città intelligente, nella Capitale continuano ad aprirsi voragini nell'asfalto. Che senso ha far passare Roma come la nuova Singapore?

Il tempismo è straordinario. Da immaginifica piece del teatro dell’assurdo, sospesa tra Jarry e Ionesco. C’è lei, la Sindaca Raggi, in un Auditorium tornato a ripopolarsi di presenze fisiche, tra sgargianti lucine e infografiche altrettanto stroboscopiche, perché c’è questa idea che il digitale debba essere raccontato sempre per colori: parla, enuncia, spiega il futuro di Roma come città smart, la smart city, la parola buona per tutte le stagioni e talmente buona che nessuno è davvero mai riuscito a definirla in maniera precisa.

Città intelligente. Città digitale. Città interconnessa. Si sarebbe potuto chiedere una traduzione al Ministro degli Esteri, Di Maio, presente anche lui, su poltroncina da salotto, perché quando si illustra in maniera partecipata si sta sempre nei salotti. Che siano smart o analogici, sono comunque salotti buoni. Ma nel dubbio, e con ampio spirito di cristallina semplificazione, Roma non è nulla di tutto questo, quindi la traduzione di smart non serviva

 

E nemmeno serviva quella di city perché Roma, accidenti, rimane il borgo che fece inorridire Goethe il quale, smesso l’entusiasmo romantico e mistico della visione di monaci intenti a intonare il vespro sotto il cielo carnicino del tramonto, tra le rovine dei Fori, si ritrovò a passeggiare per strade dove la gente buttava, ben prima dell’AMA, la mondezza giù dalle finestre.

Roma non è smart, e nemmeno città, e nemmeno Urbe nel senso che fu dei Latini e dei Romani, antichi, e resta una provincia dell’Impero, monnezzosa e sonnolenta, un po' fuori dalla storia, chiusa in un letargo pompeiano, come nei diari di un Taine inorridito e disgustato che fendeva a bordo di una carrozza i quartieri, e tutto attorno a lui una umanità alla deriva più fioca e macilenta di una favela brasiliana. E mentre la Sindaca cerca di convincere la platea composta di imprenditori che il futuro della città di Roma sarà smart e verrà scritto insieme a loro, utilizzando la famosa allocuzione retorica di ‘Roma ha bisogno degli imprenditori e gli imprenditori hanno bisogno di Roma’, che è un po' come Lino banfi che ne L’Allenatore nel Pallone dice ‘la Longobarda è Aristoteles e Aristoteles è la Longobarda’, ecco, in questo preciso istante a Torpignattara una strada si apre in due come nemmeno nei film giapponesi di Godzilla dove da una qualche fenditura cementizia ti esce fuori il mostro oppure come il Gandalf che frana il ponte contro il Balrog.

‘Tu non puoi passare!’, non più ne Il Signore negli Anelli, ma cartello segnaletico opposto ai cittadini romani per le voragini su strada. Ma qui non ci sono né Godzilla né il Balrog, e l’unico mostro, quello vero, silente, permanente, è l’incuria: il non amministrare, il non voler decidere, il prendersi in giro figurando responsabilità sempre degli altri, della mafia, della corruzione, dei pelandroni pubblici, di quelli che c’erano a governare prima di te nonostante sia ormai passato talmente tanto tempo che chi c’era prima di te sei sempre tu. Una città smart non dovrebbe per forza di cose darsi una tinta frettolosa di digitale, basterebbe avesse servizi funzionanti: ma chiedere servizi funzionanti occupa poche pagine di giornale, non cattura attenzione, perché i servizi dovrebbero funzionare, normalmente, di loro, visto che paghiamo le tasse

Chiedere servizi funzionanti attirerebbe le ire di dipendenti pubblici e sindacati, e per questo è meglio cianciare di smartness, di interconnessioni, lasciar intendere che Roma potrebbe essere la nuova Singapore, poi come se Roma ci tenesse davvero a diventare un luna park scintillante di neon e algoritmi privo di storia come Singapore.

Figuratevi quello sbrego longitudinale che si è ingoiato una smart e un’altra vettura, guardate quella profondità cava e ctonia da cui erutta la targa di lato nella impietosa foto che la cristallizza accartocciata, mentre il sempiterno nastro giallo della polizia locale delimita la scena del crimine.  Ammirate bene il paesaggio lunare, quel cratere, e ripensate a quando l’allora assessora grillina Meleo, nel 2017, prefigurò corsie stradali, a Roma,  e ribadisco a Roma, per macchine a guida autonoma. Pensateci, la prossima volta che dovrete riesumare la vostra auto da un cratere aperto su strada.

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