A tre anni dal governo gialloverde, Salvini&Di Maio hanno un solo imperativo: dimenticarlo
L'1 giugno 2018, oggi nasceva il mitologico governo Lega-M5s. Sospesi tra Cina, Venezuela e Russia, nella stessa legislatura i due ex alleati sono finiti a sostenere Mario Draghi
Paolo Savona e il cigno nero, il piano B per uscire dall’euro e il referendum sulla moneta unica, i minibot di Borghi e i navigator di Parisi, il reddito di cittadinanza e quota cento, le allegre gite a Mosca e la Cina sempre più vicina, la guerra alle ong e la Bce usuraia. Nessun dubbio, nessuna moderazione ammessa. Tre anni fa, oggi, nasceva il governo gialloverde. Un botto e un petardo. Dal faticoso inizio alla fine repentina calzando le infradito del Papeete. Tre passi nel delirio. E come dimenticarlo? Era il primo giugno 2018 e uno sconosciuto avvocato pugliese di nome Giuseppe Conte, in abito sartoriale e gemelli, declamava al Quirinale la lista dei ministri voluta da quegli altri due, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, i proconsoli del populismo che intanto si sorridevano, parlottavano e scherzavano.
Il leghista se ne stava a gambe larghe sotto gli arazzi stinti, come fosse sulla panchina in attesa del tram. Mentre il giovane grillino era composto in un sorriso bianchissimo di denti. Aveva appena chiesto l’impeachment di Sergio Mattarella e adesso andava a stringergli la mano. Gongolante. Di lì a poco avrebbe provocato una crisi diplomatica con la Francia, incontrando i gilet gialli. Ma questo solo un attimo prima di aver abolito la povertà, “stiamo scrivendo la storia”. Mentre l’altro, il leghista, avrebbe cominciato la sfilata delle divise militari, bloccato navi, annunciato censimenti di nomadi e rom, ingaggiato una guerra di dichiarazioni contro l’Unione. Un salto nei cerchi di fuoco. I commissari europei? “Terroristi”. Il debito pubblico? “Lo ripaghiamo col deficit”. Lo spread? “Un imbroglio”.
C’era Elisa Isoardi che stirava camicie, alla Bce si chiedeva di abbonarci miliardi “altrimenti ve la facciamo vedere noi”. E a dare l’idea di ciò che stava accadendo ci pensava lo scrittore Mauro Corona che al Vinitaly inseguiva Salvini e Di Maio proponendo loro la soluzione a ogni problema del paese: la sbornia. Come se quelli non fossero già inclini. In un’Italia che intanto appariva sospesa tra l’aereo più pazzo del mondo e un romanzo di Guido Morselli. Sembra un secolo fa. Ma sono appena tre anni. Tutto è cambiato. E oggi ogni mossa di Salvini e Di Maio, ogni spicciolo atto del loro stare sulla scena, sembra avere uno scopo: dimenticare.
Se potessero, forse negherebbero persino di esserci stati ai bei tempi in cui prendevano tutti i tori per le corna. Ma chi, io? Sospesi tra Cina, Venezuela e Russia, dovevano sfasciare trattati e alleanze. Sono finiti a sostenere Mario Draghi. Quello che Carlo Sibilia voleva far “arrestare”. Forse lo eleggono pure presidente della Repubblica. E infatti, ai tempi, pure Erdogan gli pareva un bell’omaccione da imitare. Ora però è un macellaio. Israele? Caposaldo dell’occidente. L’atlantismo? Pietra miliare. Il reddito di cittadinanza? Imperfetto. I pieni poteri? Affermazione incauta. Le infrastrutture? Utili, persino il ponte di Messina. L’euro? Irreversibile. Le manette? Un orrore.
E allora ecco la Lega che vorrebbe entrare nel Ppe, dove c’è Angela Merkel. Mentre i grillini bussano alle porte del socialismo europeo, lì dove sta il Pd, un tempo noto con il nome di partito di Bibbiano (“ma vi pare che faccio accordi con quelli che si vendono i bambini con l’elettroshock?”). Tutto finito. Obliterato. Rimangiato. Polvere sotto il tappeto. Anzi, sotto il divano. Come cantava Paolo Conte: “Sì che il tempo passa sotto ai sofà / nemico numero uno degli aspirapolvere di tutta città”.