Il caso
Roma, stallo Salvini-Meloni. Pezzi di FdI contro Michetti e la base leghista: "E Calenda?"
Il tribuno della radio non convince fino in fondo. E la città è tutto un sondaggio, una chiacchiera e una suggestione
Oggi nuovo vertice del centrodestra per le amministrative. Si prospetta ancora un'altra fumata nera per il Campidoglio
Si vedranno per rivedersi e decideranno di non decidere. Perché se Milano è una partita tutta in salita, Roma no, non lo è. “Si può vincere”. E dunque Matteo Salvini, Giorgia Meloni, Antonio Tajani e il resto della compagnia cantante del centrodestra si incontreranno oggi senza tante pretese risolutorie. Siamo ai veti incrociati e ai candidati fatti sondare. Intanto, tutti si annusano. L’altro giorno Salvini era a Fatima e così ha spedito Claudio Durigon a colazione con Enrico Michetti per capire se potrà avere la benedizione della Lega. Il prof non convince il Carroccio, non piace a Forza Italia e, notizia, ci sono malumori dentro FdI.
Strano, ma vero. Il civico, formalmente lanciato dall’Udc, ma messo sul tavolo da Giorgia Meloni, sta creando qualche problema dentro Fratelli d’Italia. “Dobbiamo capire se rischiamo ‘l’effetto-Rita Dalla Chiesa’ che nel 2016 dal palco del Pincio iniziò a parlare contro la famiglia tradizionale difendendo i gay. Insomma, bisogna essere sicuri che Michetti sia in linea, perché i nostri elettori non lo vogliono. E soprattutto non lo conoscono”.
Insieme a certi pezzi importanti di Fratelli d’Italia la pensano così anche nella Lega, dove però gira un altro ragionamento: Michetti ha un ottimo curriculum, ma non è noto agli elettori e questo potrebbe essere un gap. Ecco perché Salvini non ha riposto la carta di Simonetta Matone, la giudice conosciuta al grande pubblico, ospite spesso del salotto di Bruno Vespa e con solidi rapporti nel centrodestra: da An a FdI, passando per la Lega e Forza Italia.
Ecco, il partito di Silvio Berlusconi, che a Roma è comunque la terza forza della coalizione, in questa fase fa asse con Salvini per respingere l’ipotesi del tribuno radiofonico. Per fermarlo, e motivare il no, si fa il nome di Maurizio Gasparri, pronto a immolarsi per la causa, in virtù di una conoscenza profonda della città e di tutti i suoi vari strati sociali. L’ex ministro delle Telecomunicazioni del governo Berlusconi da coordinatore azzurro nella capitale ama sempre ripetere: “Nella Sim del mio telefono conservo così tanti numeri e contatti da affrontare una campagna elettorale”.
In generale tira aria di smarrimento nel centrodestra.
In questi giorni gli ambasciatori di Salvini a Roma gli hanno riferito anche una suggestione abbastanza forte quanto impossibile: “Matteo, non potrai crederci, ma la gente ci ferma e ci dice perché non sosteniamo Carlo Calenda”.
Ovviamente, anche qui, non siamo ai sondaggi ma alle mille chiacchierate che si fanno nella città della parola eterna. E’ chiaro che il leader della Lega non potrebbe (e non vorrebbe) mai fare un’operazione del genere. Ma queste mosche che gli ronzano nelle orecchie sono il segnale di un’intesa che manca. Manca il Papa nero, più che altro, se proprio civico deve essere il candidato. L’altra parrocchia che anima Fratelli d’Italia – è chiaro che ormai ci sono due correnti nella creatura meloniana, almeno a Roma – fanno ragionamenti opposti: “Se civico dovrà essere il candidato, sarà Michetti”.
E così i leader e i loro colonnelli si attorcigliano sui candidati in campo e su quanto potrebbero essere forti in una campagna elettorale che come sempre sarà iper mediatica e giocata ovunque purché per strada. Calenda, che non sta badando a spese in quanto “siamo bravissimi nel fundraising”, da oggi è pronto a entrare nelle case stile San Paolo: con una lettera ai romani. Un modo per raccontarsi e lanciare la sua candidatura “civica e lontana dai partiti e dalle persone che hanno paralizzato la città negli ultimi anni”.
E quindi è tutto un po’ un affrancarsi dai partiti questa corsa per il Campidoglio. Puntando sulle persone più che sul simbolo. Addirittura, come riportato nei giorni scorsi dal Riformista, anche dalla chat del comitato di Virginia Raggi è uscita una dichiarazione a uso interno che suonava così: “Raggi è un candidato indipendente fuori dal M5s”. Un obiettivo che si pensa, ma non si dice. L’unico che sembra a suo agio nella posa da figlio del partito è Roberto Gualtieri, che in attesa delle primarie del centrosinistra, si divide tra i municipi e le relazioni personali che contano in città. Al di qua e al di là del Tevere. Manca solo il centrodestra, dunque. Ma anche oggi – salvo miracoli – non sarà il giorno giusto.