Giovannini e Brunetta: due ministri, quattro facce

Marianna Rizzini

Cortocircuito sulla strada della Semplificazione: l’ex Brunetta furioso è diventato tutto “spirito di servizio” per il paese, il Giovannini equo e solidale si misura con  il dicastero più “cattivo”. Ritratti allo specchio

C’è lui, Mario Draghi, il premier, e ci sono loro, i ministri. E tra i ministri ce ne sono due che metaforicamente si guardano da due rive diverse del grande fiume della Semplificazione, parola dolce e amara a seconda del momento. E se uno, Renato Brunetta, ministro per la Pubblica amministrazione, è già stato a capo di un dicastero (lo stesso) nel quarto governo Berlusconi, tra il 2008 e il 2011, l’altro, Enrico Giovannini, ministro delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili, è stato titolare del Lavoro e delle Politiche sociali nel governo Letta, tra il 2013 e il 2014. Ma questi sono dettagli. Il punto è che i due ora si guardano e devono capirsi, anche se più diversi non potrebbero essere. A cominciare dal nome del ministero che Giovannini ha voluto simbolicamente dotare di quell’estensione, sorta di suffisso doppio, la “mobilità sostenibile”, assieme garanzia e minaccia. E qui viene l’altro punto: che i due si guardano, sì, ma sono anche guardati dal presidente del Consiglio, un Mario Draghi che sull’urgente materia comune, la Semplificazione, appunto, non si trova di fronte la stessa fluidità d’azione. E insomma da un lato vede un Brunetta che manco pare Brunetta: non più pasdaran, non più polemista (“ma dove sono i finiti i messaggi di guerra diramati nella chat giornalisti dall’alba al tramonto?”, trasecolano i cronisti) e non più animato dalla forza della sgradevolezza contro le categorie di volta in volta attenzionate, dai “fannulloni” della Pa ai “parassiti” del cinema, bensì da quello che descrive come “spirito di servizio” per il paese.

 

Dall’altro lato, invece, dove siede l’accademico Giovannini, la polemica non c’è non per via di una mutazione comportamentale, ma per ragioni strutturali intrinseche all’essere di un ministro che ha scritto un libro con Fabrizio Barca, già alla Coesione territoriale nel governo Monti nonché già visto come papa straniero della sinistra, un Barca con cui Giovannini divide un lessico che è specchio dell’anima: “Mobilitazione cognitiva”, diceva Barca nei giorni in cui sognava di girare l’Italia lancia in resta contro l’allora misterioso “catoblepismo”, in contestazione contro “l’élite estrattiva”. “Distorsione cognitiva”, ha detto invece Giovannini a questo giornale, a monte dell’avvento di Draghi, nel dicembre scorso: “Sta passando l’idea che i 209 miliardi di euro che arriveranno in Italia servano a recuperare qualche decimale di pil. Non è così”. Giunto Giovannini alle Infrastrutture nel momento in cui il decisionismo è tutto, si è visto che dal lessico era complicato passare ai fatti: difficile, infatti, narra un parlamentare che conosce bene il ministero, “non creare intoppi se l’accento sulla sostenibilità, che per il ministro viene prima di tutto, si interseca con la propensione a moltiplicare i tavoli. C’è un problema? Giovannini vuole un nuovo tavolo. C’è un altro problema? Giovannini vuole mettere in piedi una nuova commissione”. 

Che cosa significhi tutto ciò lo dice la storia, anzi una storia, quella della Commissione sulla retribuzione di parlamentari e amministratori pubblici, presieduta da Giovannini nell’anno 2012. L’allora presidente dell’Istat si trovò di fronte, così disse al momento delle dimissioni dall’incarico, troppe leggi, troppe situazioni diverse l’una dall’altra, tanto da “non poter produrre” risultati. Troppa difficoltà nel raccogliere i dati, insomma, per rispondere al quesito “i parlamentari italiani sono davvero i più pagati d’Europa?”. Questione di metodo? Chissà. Fatto sta che Giovannini, l’uomo che ai Cinque stelle piaceva al punto da considerarlo quasi intercambiabile con Conte, è equo e solidale (di nuovo, nomen omen) fin dalla sigla dell’ASvis, l’associazione italiana per lo Sviluppo sostenibile di cui in precedenza era portavoce, animato da una capacità d’eloquio la cui durata appariva inversamente proporzionale all’intelligibilità del contenuto (come il collega Barca, d’altronde). Ma si può essere equi e solidali in un ministero “cattivo” come le Infrastrutture, in cui, dice un parlamentare, “a voler essere ideologici, ma ottenere risultati, bisognerebbe avere l’indole di uno Stalin o di un Togliatti, non di un Trotsky”? Figurarsi se un ministro equo e solidale deve  occuparsi di fondi che impattano su grandi opere, Tav e autostrade. 

E dunque, sotto gli occhi di Draghi, si produce uno strano cortocircuito attorno alla Semplificazione, preliminare a tutto ciò che va sotto la dicitura “Recovery”, e tanto per cominciare attorno agli appalti. E se Giovannini raccoglie qualche commento spazientito tra i colleghi per via del metodo “diesel”, come dice un insider, malgrado il curriculum e la stima del mondo accademico, Brunetta, che fino a due mesi fa era uno degli ex ministri più noti ai media per ferocia verbale e sguardo da “Caron dimonio”, raccoglie elogi che non ci si crede. A partire dai detrattori storici. “L’ha detto anche Brunetta, ci vogliono più ingegneri nella Pubblica amministrazione”, ha esordito Pier Luigi Bersani a proposito della “scorrevolezza” delle strutture appaltanti. “Il nuovo Brunetta prova a far pace con i sindacati”, titolava il Manifesto il 9 marzo scorso, stupito dall’emersione di un inedito tono conciliante in capo al noto persecutore di fannulloni. E il 10 marzo si stupiva ancora di più: “La concertazione di Draghi e Brunetta convince i sindacati”, era il nuovo titolo per il Patto di rilancio del lavoro pubblico. In quell’occasione Brunetta pronunciava un discorso salutato a sinistra quasi quasi come un miracolo, visto che le parole venivano da colui che Massimo D’Alema aveva definito “energumeno tascabile”: “Con la firma di oggi vogliamo mettere le basi per la costruzione di una nuova Italia, partendo dalle intuizioni di Carlo Azeglio Ciampi per avviare un percorso che investa sulle parti sociali, sull’innovazione”, diceva Brunetta. “E’ lo spirito di allora che bisogna recuperare”. In seguito si percepiva anche distensione in capo a Enrico Letta, pronto a dare man forte dopo un mese dall’insediamento del ministro: “Brunetta ha fatto scelte che condividiamo, dobbiamo dargli fiducia anche da adesso in poi, la questione della Pa è fondamentale”. E lui, il Brunetta un tempo noto per la propensione a non pentirsi, non ritrattare, non concedere nulla all’interlocutore in disaccordo, si trova ora nella posizione del “liberalsocialista” che piace alla sinistra quasi più del Giovannini sostenibile per definizione (il quale Giovannini si trova in un ministero dove, racconta un osservatore, “se lasci fare nessuno firma nulla, da quanto si rischiano rogne a ogni mossa”). Anche i Cinque stelle che volevano Giovannini premier in nome della stella dell’ambiente ora lodano Brunetta, a partire dalla sindaca uscente di Torino Chiara Appendino e della sindaca uscente di Roma Virginia Raggi, su assunzioni e  concorsi, anche se Brunetta non è certo un fan di Raggi (“gestione disastrosa”, aveva detto nel 2019, incatenandosi ai cancelli di un deposito per rottami, in polemica contro la gestione romana dei rifiuti). 

 

Tutti pazzi per Brunetta? Vai a capirlo. Intanto il ministro della Pa ha ricevuto il plauso dell’Anci (“abbiamo avuto un incontro molto proficuo in vista del piano nazionale di ripresa e resilienza” ha detto il presidente dei sindaci Antonio Decaro), dell’Inps (“apprezziamo moltissimo il piano di assunzioni per un ricambio generazionale nella Pa”, ha detto il presidente Pasquale Tridico) e dei consulenti del Lavoro. E mentre Giovannini, statistico stimato nelle alte burocrazie europee, ha recentemente fatto trasecolare più di un europarlamentare insistendo nelle interviste sulla “re-ingegnerizzazione delle procedure di gara” (“che vorrà dire?”, si sono affrettati a chiedere alcuni esponenti del M5s e della sinistra da Bruxelles ai colleghi italiani), Brunetta si è proposto, sempre via intervista – dal Corriere della Sera alla Stampa al Sole 24 ore al Messaggero a questo giornale – come semplificatore tout court, a partire da concetti immediatamente comprensibili come l’unità nazionale (della serie: non ci sono né centrodestra né centrosinistra, qui tocca salvare il paese), l’intelligenza individuale e collettiva (il nemico è la stupidità, dice Brunetta in accordo con Draghi, con cui ha ottimi rapporti dalla notte dei tempi, e con cui ha condiviso dinamiche non proprio distese con Giulio Tremonti, ex ministro storico dell’Economia di Silvio Berlusconi).

E ancora, nel lessico brunettiano compaiono a ripetizione la “credibilità”, il “rinnovamento del capitale umano pubblico”, i giovani che “meritano maestri non vincolati al passato” e la “logica dello strappo con cui stiamo provando a governare”. E insomma l’ex panzer, inviso a molti anche a destra, parla come uno che non ha nulla da perdere, ma a cui potrebbero arrivare sul piatto cose impensabili. Come ha detto tra il serio e il faceto il giudice emerito della Corte costituzionale Sabino Cassese su Radio1, a “Un giorno da Pecora”: “Con Draghi al Quirinale subentrerebbe come premier pro tempore Brunetta, in quanto ministro più anziano. A quel punto Draghi farebbe partire le consultazioni per verificare che ci sia una maggioranza”. 

E Giovannini? Le tribolazioni erano cominciate già un anno fa, ai tempi del Piano Colao (il ministro era nella task force apposita), quando l’ex presidente Istat si trovò a rispondere alle critiche di Graziano Del Rio, allora capogruppo pd alla Camera, con parole che più o meno suonavano come un “allora non l’ha capito, il piano”. Né fu tranquilla, a livello di interlocuzione con gli enti locali, e sempre per via del metodo “diesel”, l’esperienza di Giovannini da ministro del Lavoro nel 2013 (ironia della sorte: Del Rio allora era ministro degli Affari regionali, prima di andare a ricoprire le Infrastrutture ora guidate da Giovannini). Ma oggi è un altro giorno, e mentre Giovannini parla di “nuovo paradigma” e mobilità cruciali” al Forum internazionale dei Trasporti, Brunetta posta su Twitter la foto con la sua torta di compleanno, ringraziando per gli auguri: “Aumentano gli anni, ma anche la saggezza”. 

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.