"Ma perché Giuseppe non parla con Draghi?". I sospetti di Di Maio su Conte
Bonafede sulla graticola: la prescrizione sarà il primo scontro frontale tra Conte e l'esecutivo. La trincea del malcontento al Senato. Taverna: "Non dobbiamo restare al governo per forza"
Il ministro degli Esteri marca a uomo l'ex premier. "Se non apre un dialogo con Palazzo Chigi, il M5s è nell'angolo". Ma il fu avvocato del popolo fomenta la guerrigilia e guarda a Dibba. Obiettivo: tornare all'opposizione prima del flop delle amministrative
Con la cerchia ristretta dei suoi fedelissimi, la preoccupazione Luigi Di Maio l’ha condivisa giorni fa, quando l’esito della tornata di nomine era stato, per il M5s, assai deludente. “Ma perché Giuseppe non parla con Draghi? Non capisce che se non apre un dialogo con lui, noi non otterremo nulla?”. Domanda che è finita presto per alimentare un sospetto, in verità: perché è talmente banale, la constatazione del ministro degli Esteri, che subito tutti hanno pensato che non da un difetto di intelligenza sia dettato questo risentimento di Conte per il suo successore, ma da un eccesso di malizia.
Che del resto ci sia del metodo, in questa apparente insensatezza di atteggiamenti, se n’è accorto Alfonso Bonafede, che pure del premier è confidente privilegiato. Perché forse l’apostasia garantista di Di Maio è arrivata inaspettata per molti, nel M5s, ma il post con cui Conte ha ribadito il verbo dell’intransigenza ha avuto l’effetto di chiamare in causa proprio lui, l’ex Guardasigilli, rattrappito in questa scomoda posizione di chi deve difendere la riforma che porta il suo nome da una maggioranza che, dal Pd alla Lega, marcia compatta verso il suo smantellamento. Aveva pensato di agevolare un incontro tra Marta Cartabia e lo stesso Conte, Bonafede: questo d’altronde gli suggerivano parecchi dei suoi colleghi deputati. E invece la convinzione che in tanti hanno maturato, fuori e dentro la commissione Giustizia di Montecitorio, è che al fu avvocato del popolo non dispiacerebbe affatto un inasprimento dello scontro, per ora ancora preliminare, sul mantenimento della prescrizione.
L’altro epicentro del malcontento contiano, poi, è l’ambiente. E’ sui temi legati all’ecologia che chi parla ogni giorno con l’ex premier prevede di poter “picconare Draghi”. Una guerriglia combattuta in nome dell’ortodossia, insomma, e che non a caso mira a ricomporre anche la frattura tra Conte e quell’ala scissionista che si riconosce nell’oltranzismo sciamannato di Dibba, pure lui da coinvolgere nel nuovo progetto del giurista di Volturara a cui non a caso ieri ha offerto una sponda: "Se il M5s molla Draghi, sono disponibile a soprassedere anche sul limite dei due mandati". Conte, in sostanza, vuole fomentare un’escalation di tensione col governo, e con Draghi nella fattispecie, per poter arrivare alla rottura a inizio agosto, all’inaugurazione del semestre bianco.
Tornare all’opposizione, riprenderci “i voti che sono nostri e che ora sono finiti alla Meloni”: questo è il progetto, a cui guarda con favore anche il ministro Stefano Patuanelli. “Perché avere maturato una cultura di governo non significa che dobbiamo restare al governo a qualsiasi costo”, va ripetendo anche Paola Taverna, trovando facili consensi anche tra gente come Gianluca Perilli ed Ettore Licheri. Il che testimonia, peraltro, di come la rabbia grillina contro Draghi si alimenta e si incancrenisce perlopiù tra i corridoi di Palazzo Madama. All’opposizione, dunque? Di certo, se la mossa s’ha da fare, va attuata prima della tornata di amministrative di ottobre: quella che, nella prevedibile disfatta del M5s, potrebbe segnare l’esordio sfortunato di Conte come leader, e concedere a Di Maio una facile arma di critica nei confronti del premier.