l'intervista
"Il Pd federi i riformisti, da Bersani a Renzi. Conte? Non sfiducerà Draghi". Parla Zanda
Intervista al senatore dem. "La nostra lealtà al premier non è in discussione. Quel che succede a destra ci interroga: si va verso un bipartitismo, e il Pd deve diventare la casa di chi da sinistra guarda al centro e di chi dal centro guarda a sinistra"
L’ipotesi, dice, è di quelle “dell’irrealtà”, di quelle insomma da non prendere troppo in considerazione. “La missione di Giuseppe Conte alla guida di un M5s che ha attraversato un periodo travagliato sarà di sicuro difficile”, dice Luigi Zanda, “ma escludo che la ricerca di una nuova fase possa passare per il ritiro del sostegno a Mario Draghi”. E di certo, assicura il senatore, non è quella la via che seguirebbe in nessun caso il Pd. “Letta è stato chiaro: il governo Draghi è il nostro governo. E la responsabilità nei confronti del premier non preclude affatto l’impegno per ribadire la nostra identità. Sapendo che quello che accade al centro, e il tentativo di Salvini di federare la destra, deve interrogarci”.
Problematizzare per semplificare, è un po’ questo il suggerimento di Zanda. “Perché a una semplificazione del quadro politico - spiega - ci si arriverà inevitabilmente: il taglio drastico dei parlamentari spingerà il sistema verso un nuovo bipolarismo, e forse un nuovo bipartitismo”. Nel senso, dunque, che il Pd deve tentare col M5s quel che la Lega sta provando con FI: un partito unico? “No, affatto. Non vedo questa possibilità. Dico anzi che bisogna uscire dalla logica delle alleanze tattiche, dettate dalle esigenze del momento: da troppo tempo la politica italiana vive in uno stato di necessità. Tra astensione e voti fluttuanti, c’è almeno metà dell’elettorato che chiede di essere rappresentato: quello è lo spazio per l’espansione del Pd, perché è popolato in gran parte da persone di centro che guardano a sinistra e di sinistra che guardano al centro. Ma per questa missione, servono grandi partiti popolari”.
Un appello alla galassia dei partiti di centro? “Il frazionismo riduce la governabilità e quindi indebolisce la democrazia, che se non è decidente finisce col rendersi meno attrattiva di certi regimi autoritari, come giustamente ci ammonisce Joe Biden”. Un’unione dei riformismi progressisti, insomma, che risani le fratture recenti: da Bersani a Renzi e Calenda. E’ davvero possibile? “Purché lo si faccia nel nome di una riflessione politica profonda. L’elettorato di centrosinistra non può che ritrovarsi qui, intorno al Pd, che è il partito dei diritti e del progresso scientifico, dell’ambiente e del lavoro, dell’atlantismo e dell’europeismo sincero, non estemporaneo, dettato da convinzioni reali e non dalla convenienza del momento”.
Ma per favorire questa federazione di centrosinistra si dovrebbero sciogliere alcune ambiguità rispetto al vostro rapporto col M5s. “Il Pd è stato molto esigente, col M5s. Non si spiegherebbe altrimenti la svolta filoatlantica di un partito che ammiccava alla Cina, o l’acquisizione dell’europeismo tra i valori di chi predicava l’uscita dall’euro. Mi pare insomma che il M5s, sia pur in modo faticoso, sia in una fase di evoluzione ben più avanzata rispetto alla Lega, che pure tenta di fondersi con FI restando alleata di AfD e della Le Pen in Europa”.
E la conflittualità tra Conte e Draghi non la preoccupa? “Non la vedo perché non la guardo. In Parlamento il M5s ha sempre confermato la sua fiducia a Draghi, che si sta muovendo nel rispetto del mandato che le Camere gli hanno assegnato. Dopodiché, se alcune contraddizioni restano da risolvere nel M5s, spetterà a Conte farlo. Il suo arrivo mi sembra comunque una buona notizia, dopo che per mesi il partito è vissuto un po’ nell’anarchia”. Ma da parte del Pd, il sostegno a Draghi non è insomma in discussione. “In nessun caso, per quel che mi riguarda”.