Cosa non va nei primi mesi da segretario del Pd di Enrico Letta
”Voi non avete bisogno di un nuovo segretario ma di un nuovo Pd” aveva detto nel suo promo discorso il neo segretario dei democratici. Questo nuovo partito però ancora non si è visto
Il primo discorso di Enrico Letta da segretario del Pd ci aveva fatto riconoscere in lui l’antico presidente dei giovani popolari europei quando aveva detto all’assemblea nazionale del partito ”voi non avete bisogno di un nuovo segretario ma di un nuovo Pd”. Nel breve volgere di qualche mese quella speranza e quella riconoscibilità è scomparsa.
Pensavamo che Letta avesse capito che un partito non può governare un paese moderno senza sapere chi è sul piano culturale avendo messo in soffitta le due culture, quella comunista e quella democristiana, che alcuni pensavano di poter miscelare ritrovando così la famosa terza via tra popolarismo e socialismo. Peraltro gli ex comunisti non si sono mai sentiti socialisti e da oltre trent’anni vivono nell’anonimato identitario. Sembrava, comunque, che fosse questo il compito che Letta si fosse imposto con iniziative del tipo di quelle che fece la Dc nel 1961 con il convegno di San Pellegrino alla vigilia del superamento del centrismo e dell’apertura ai socialisti. È accaduto l’esatto contrario.
Il nuovo segretario prima si è impegnato nella cosiddetta questione femminile imponendo ai gruppi parlamentari la guida di due autorevoli parlamentari donne, poi è partito in una polemica quotidiana con Salvini sul nulla pensando così di spingere la Lega fuori dal governo con il risultato però di rendere credibile quel che diceva Salvini. Improvvisamente ha riscoperto lo ius soli e ultimamente ha lanciato una tassa di scopo con una mini patrimoniale per un fondo al servizio dei giovani. Il tutto con un piglio padronale, difetto che, in verità, il Pd aveva sempre respinto tranne la breve parentesi di Matteo Renzi. E nel frattempo il Pd rovina anche nella scelta dei sindaci pensando di reclutare nelle grandi città personaggi noti non avendo più dirigenti in grado di poter fare il sindaco nelle grandi città. Una desertificazione di classe dirigente, dunque, ed un errore di prospettiva politica e culturale anche se nelle sue proposte hanno nel profondo alcuni elementi di verità.
La questione femminile
Letta pensa davvero che la Margaret Thatcher o Angela Merkel o Marine le Pen o ancora Annalena Baerbock, la nuova leader dei Verdi tedeschi, o la stessa Meloni o le 80 donne che negli ultimi 50 anni hanno governato il mondo siano frutto delle imposizioni o delle quote rosa? La crescita politica delle donne è condizione fondamentale per il futuro della politica ma il processo da favorire è tutto un altro e consiste nella battaglia delle idee e dei comportamenti. È lo stesso che in 50 anni ha consentito alle donne di essere vicino alla maggioranza nel mondo medico occupando ruoli di guida in settori fondamentali così come è avvenuto nel mondo della magistratura inquirente e giudicante e come sta avvenendo in quello produttivo e manageriale. La cultura democristiana ci ha insegnato che la evoluzione di una società nazionale va accompagnata e guidata con un offensiva culturale senza strappi o imposizioni per evitare contraccolpi che fanno quasi sempre regredire gli obiettivi di progresso.
Giovani e tasse
Alla stessa maniera che significa una tassa di scopo, la mini patrimoniale per finanziare un fondo per dare 10 mila euro ai giovani? Il tema che Letta e l’intero Pd si sarebbero dovuto porre e cosa ha mai fatto in questa tragica pandemia la ricchezza nazionale forte di 4.200 miliardi di euro al netto del patrimonio immobiliare. Forse è più giusto dire cosa mai ha chiesto la politica a questi italiani abbienti per rispondere a tono al sacrificio di medici e infermieri che hanno lasciato sul campo oltre 300 vite per difendere le vite di tutti. Il silenzio della politica rasenta la vergogna e lo diciamo sapendo che ogni patrimoniale è un errore perché recessiva e dà sempre poco gettito e conoscendo, peraltro, la disponibilità della ricchezza nazionale a dare una mano al paese. Il confronto con quel 20 per cento di italiani che controllano il 72 per cento della ricchezza nazionale deve essere più alto separando l’emergenza da un disegno strutturale all’interno della riforma fiscale.
Non vogliamo insegnare niente a nessuno ma solo ricordare che il tempo e il modo con cui si presenta una proposta politica non sono una variabile indipendente in particolare in un paese così frantumato e sconnesso oltre che scettico ed impaurito come il nostro. Chi pensa di governare un paese così diviso deve innanzitutto riavviare un processo di una nuova coesione nazionale e di un sentire profondo comune. Questo potrà avvenire se i segretari dei partiti smettano di fare i peones con dichiarazioni quotidiane poco meditate e poco condivise spingendo al contrario il parlamento ad un diverso e più approfondito confronto con il governo e con le articolazioni della società nazionale sulle grandi questioni che affannano il paese. Se Letta non cambia rotta rapidamente fallirà nel compito che aveva dichiarato nel momento in cui in maniera profondamente anomala alcuni dirigenti lo avevano chiamato dal suo soffice esilio parigino.