Il formidabile schiaffo dei sindaci di sinistra alla giustizia impazzita

Claudio Cerasa

Un surreale avviso di garanzia ricevuto dal sindaco di Crema spinge numerosi primi cittadini a ribellarsi contro le follie delle procure. “Basta, siamo tutti indagati”. Tre lezioni e un compito per il futuro

"Siamo tutti indagati”. Sui giornali di oggi troverà probabilmente molto spazio la notizia arrivata ieri dalla Francia relativa allo schiaffo rifilato a Emmanuel Macron da un anarchico incrociato dal presidente francese durante un viaggio nel dipartimento della Drôme, all’uscita dalla scuola alberghiera di Tain-l’Hermitage. Simbolicamente, quello schiaffo è clamoroso, ma non è più clamoroso di un altro schiaffo, politicamente più rilevante, che è andato in scena ieri in Italia e che meriterebbe di far rumore ben più di un buffetto al presidente francese. Lo schiaffo di cui stiamo parlando è quello trasversale che hanno mollato ieri all’unisono alcuni tra i principali primi cittadini italiani, che in modo tanto coordinato quanto inaspettato hanno colto al volo un assist arrivato da Crema per urlare tutta la propria indignazione contro la giustizia ingiusta, contro la magistratura impazzita, contro la trasformazione degli amministratori locali in furfanti fino a prova contraria.

 

L’assist arrivato da Crema coincide con una notizia incredibile che è quella che avrete probabilmente già letto. Ieri mattina, il sindaco di Crema, Stefania Bonaldi, del Pd, ha annunciato sul suo profilo Facebook di avere ricevuto un avviso di garanzia in relazione all’infortunio di un bimbo che si era chiuso due dita in una porta tagliafuoco dell’asilo nido comunale. E come reazione all’indagine, il sindaco ha posto ai suoi colleghi una domanda: non pensate anche voi che sia il caso di porre l’attenzione “su un sistema che, a livello nazionale, forse necessita di interventi e correttivi che aumentino le tutele giuridiche a favore dei sindaci?”. In un’altra stagione politica, la storia dell’indagine al sindaco del Pd sarebbe stata probabilmente o nascosta dal Pd (meglio evitare rogne) o usata dai nemici del Pd per dimostrare l’inaffidabilità del Pd (meglio non perdere l’occasione).

 

La particolarità della giornata di ieri è stata invece l’accumularsi, ora dopo ora, di messaggi di solidarietà rivolti alla prima cittadina di Crema da parte di alcuni tra i più importanti sindaci d’Italia, che probabilmente non attendevano altro che una scusa buona per denunciare ad alta voce quello che fino a ieri avevano denunciato solo a voce bassa. Siamo tutti indagati, hanno detto diversi sindaci, e le loro reazioni ci portano a riflettere sull’unicità di questa fase politica, in cui il garantismo sembra essere misteriosamente e sorprendentemente diventato per una volta mainstream.

 

Il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, del Pd, si è chiesto “se sia possibile andare avanti così”. Il sindaco di Milano, Beppe Sala, ha affermato che su questi temi, da parte dei sindaci, “il livello di esasperazione è altissimo”. Il sindaco di Pesaro, Matteo Ricci, del Pd, ha parlato di “pazzie” e ha ricordato che non sia necessario sorprendersi se poi, in Italia, “scarseggino i candidati a sindaco”. Il segretario lombardo del Pd, Vinicio Peluffo, ha invitato a “fermare questa deriva”, che ha portato “a un cortocircuito assurdo nel rapporto tra enti dello stato”. Il sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, ex grillino ora emancipato, ha espresso anche lui solidarietà al sindaco di Crema, ricordando che “così è davvero difficile amministrare”. Virginia Raggi, sindaco di Roma, pezzo da novanta di un movimento che in passato ha spesso e volentieri usato le indagini a carico dei sindaci avversari per delegittimare l’operato dei sindaci avversari, ieri, testimoniando la progressiva trasformazione del M5s da Movimento 5 stelle a Movimento 5 scuse, ha espresso “solidarietà” al sindaco di Crema e ha chiesto “più chiarezza sulle responsabilità dei sindaci per evitare il blocco delle azioni amministrative”. Il sindaco di Bari, Antonio Decaro, presidente dell’Anci, è arrivato a dire che “insieme con Stefania siamo tutti indagati” e che “se lo stato non cambierà regole noi ci costituiremo parte civile”. E poi ha aggiunto una considerazione dirompente: “Ogni volta che un sindaco firma un atto rischia di commettere un abuso d’ufficio. Se non firma, rischia l’omissione di atti d’ufficio. Così non si può andare avanti”.

 
La storia della formidabile rivolta dei sindaci contro la malagiustizia è istruttiva almeno per tre ragioni. In primo luogo, è significativo che un fronte imponente di amministratori locali del centrosinistra individui come un problema centrale per il buon funzionamento del paese la presenza di una giustizia impazzita, specializzata cioè (a) nell’usare in modo discrezionale l’arma dell’obbligatorietà dell’azione penale e (b) nel trasformare con disinvoltura i politici in banditi fino a prova contraria. In secondo luogo, è interessante notare come un fronte imponente di amministratori locali del centrosinistra sia sceso in campo per demolire un vecchio e ridicolo dogma, in base al quale l’avviso di garanzia sarebbe, come si dice, un atto a tutela dell’indagato e non invece, come di fatto è, una lettera scarlatta, utile il più delle volte non a tutelare i diritti dell’indagato ma a macchiare a vita la sua reputazione. In terzo luogo, è interessante notare come la politica, anche quella un tempo più ostaggio delle fesserie giustizialiste, abbia capito che uno dei guai dell’Italia, e anche dei comuni, è quello di avere avuto per molto tempo un fronte  trasversale specializzato nel regalare alla magistratura tipologie di reato spesso inafferrabili, come l’abuso d’ufficio, in grado cioè di offrire con molta frequenza ai pm la possibilità di trasformare in indagini infinite alcuni sospetti basati sul nulla. 

 
L’energia mostrata ieri dai sindaci contro le pazzie della giustizia ingiusta è un buon segnale per la politica, che può diventare qualcosa in più di un semplice atto di dimostrazione simbolica se i sindaci avranno il coraggio nei prossimi anni di essere non i semplici testimoni di un problema ma i cani da guardia della più importante riforma che la politica dovrà necessariamente portare avanti: contro lo strapotere delle procure, contro la discrezionalità dei pm, contro le lettere scarlatte, contro il populismo penale e contro la giustizia impazzita. Se non ora, cari sindaci, quando?

Di più su questi argomenti:
  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.