Semplificazioni, concorrenza e futuro del governo. Che farà Draghi? Parla l'uomo che sussurra al premier
Si chiama D’Alberti, è l’uomo delle semplificazioni, è consigliere del premier e spiega la “non parentesi” di Draghi con Seneca, Manzoni e Cicerone. “Sulla concorrenza è ora di una svolta”. Una chiacchierata a Palazzo Chigi
Ma che cosa c’entrano Seneca, Cicerone, Leopardi, Manzoni con il governo Draghi? L’uomo che sussurra a Mario Draghi si chiama Marco D’Alberti, è nato a Roma, ha settantatré anni, insegna Diritto amministrativo, è stato allievo di Massimo Severo Giannini alla cattedra di Diritto amministrativo alla Sapienza, ha conosciuto il presidente del Consiglio negli anni Novanta ai tempi delle grandi privatizzazioni, ha lavorato con Draghi a Palazzo Koch ai tempi della sua esperienza da governatore di Banca d’Italia e da qualche mese a questa parte, insieme con Francesco Giavazzi e Marco Leonardi, è uno dei consiglieri del presidente del Consiglio ed è uno dei principali estensori del testo forse più importante approvato in questi mesi dal governo: il decreto sulle semplificazioni.
Il professor D’Alberti è poco conosciuto, non si conosce il suo volto, non si conosce la sua voce, non si conosce il suo pensiero, tende a sfuggire come un ninja dai taccuini dei giornalisti ed è stato solo dopo un lungo e insistente corteggiamento che il professore ha accettato di dialogare con il Foglio. Le regole di ingaggio della chiacchierata – durante la quale D’Alberti ci spiegherà che cosa vuol dire che la parentesi che si è aperta in questi mesi farà bene a non chiudersi – sono state inizialmente molto rigide. Abbiamo mandato una traccia degli argomenti al professore, il professore ha tenuto a farci sapere per iscritto le sue idee, ci ha chiesto se le sue risposte scritte potessero essere sufficienti per impostare la chiacchierata, gli abbiamo risposto che le risposte scritte erano interessanti ma che noi il prof. lo volevamo vedere, ci volevamo parlare, volevamo capire chi è, cosa pensa, cosa fa, cosa vuole, cosa immagina per il futuro del governo.
D’Alberti ci riceve finalmente a Palazzo Chigi nel pomeriggio di mercoledì e porta con sé una cartella di piena di fogli, piena di appunti, piena di spunti, accompagnata da un tomo piuttosto imponente: è il decreto sulle Semplificazioni, novantasette pagine stampate fitte fitte su carta A4, in carattere Times New Roman. D’Alberti, giacca elegante, camicia bianca, cravatta scura, gilet nero di lana merino, un fisico a metà tra Corrado Passera (per l’altezza) e Sabino Cassese (per lo sguardo), un impercettibile accento romano levigato da un uso infinito di termini accademici, utilizzerà nel corso della nostra conversazione il tomo delle semplificazioni con lo stesso stile con cui i sacerdoti usano il vangelo per indicare ai fedeli la retta via da percorrere: ogni risposta si trova qui, si trovano in queste pagine, e io, caro direttore, nient’altro le dirò che quello che è già scritto qui.
Le premesse non sono eccitanti, D’Alberti inizia a chiacchierare sussurrando. Ma via via si scioglie, si lascia andare, si lascia scoprire e ci offre qualche spunto utile per provare a capire cosa può riservare il futuro di questa stagione politica. Semplificazioni, concorrenza, Draghi, parentesi che si aprono e che speriamo non si chiudano. Professor D’Alberti. Partiamo da un dettaglio importante contenuto nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Il testo recita così: una maggiore semplificazione e una maggiore concorrenza portano a una migliore giustizia sociale. Ci può spiegare in che senso le semplificazioni possono cambiare l’Italia?
“Abbiamo un obiettivo prioritario, che è la velocizzazione, perché la Commissione europea ci ha dato uno scadenzario molto serrato, trimestre per trimestre: da oggi fino al dicembre del 2026. Quindi assume preminente valore l’interesse nazionale alla sollecita e puntuale e realizzazione del Pnrr. Noi però andiamo al di là alla semplificazione. C’è una ricerca di equilibrio, perché ovviamente la velocità e la semplificazione possono comportare dei rischi, e ne dobbiamo tener conto. Semplifichiamo e velocizziamo le procedure di valutazione di impatto ambientale, di aggiudicazione degli appalti pubblici, di realizzazione delle infrastrutture: condizioni indispensabili per poter raggiungere gli obiettivi del piano nei tempi serrati che sono stati previsti”.
“Al tempo stesso, garantiamo la tutela dei beni culturali e del paesaggio, con il necessario intervento delle soprintendenze nei procedimenti accelerati di valutazione dell’impatto. Poi, garantiamo la sicurezza del lavoro e i livelli salariali nel subappalto, che potrà essere utilizzato con maggiore ampiezza. E infine assicuriamo il contrasto alla criminalità nelle procedure rapide per la realizzazione di infrastrutture. E’ anche chiaro che quando ci sono molti denari, da spendere in fretta, c’è il rischio di corruzione. Ma noi abbiamo previsto dei contrappesi. C’è una struttura al Mef per il così detto audit, il controllo durante tutta l’esecuzione del Pnrr, anche per i profili di potenziali frodi e corruzioni. E abbiamo l’Anac, che è l’autorità competente in materia”.
Se esistono i colli di bottiglia è perché si è scelto per molto tempo di non intervenire su alcuni fronti. Quali sono secondo lei i colli di bottiglia più dolorosi che in questi anni hanno rallentato il paese? “Abbiamo un sistema legislativo e normativo molto complesso. Troppe leggi, spesso oscure, scritte in modo difficile anche per giudici e avvocati. Nel Pnrr è prevista un’Unità per la razionalizzazione e il miglioramento della regolazione. Per lavorare a questo obiettivo abbiamo tratto ispirazione da alcuni modelli stranieri. Ci sono molti esempi nei paesi di common law, sia nel Regno Unito che negli Stati Uniti. Negli Stati Uniti, in particolare, c’è un ufficio che risponde direttamente al presidente, l’Office for information and regulatory affairs. Noi abbiamo inserito una unità analoga, che agirà in coordinamento con gli uffici del ministro Brunetta per risolvere eventuali incagli normativi nell’attuazione del Pnrr. Questo decreto è stato scritto per l’attuazione del Pnrr, ma lo sguardo va oltre. Penso per esempio agli appalti: alle norme d’urgenza contenute nel decreto dovrà seguire una riforma a regime del codice dei contratti pubblici”.
Ci può fare un esempio di deroga introdotta al codice degli appalti che può imprimere un’accelerazione al paese?
“Oggi si consente un maggior ricorso al subappalto e a regime amplieremo ancor di più. Si tratta di una deroga importante, rispetto all’attuale disciplina che prevede che le opere in subappalto possano essere al massimo pari al 30 per cento. Il limite è stato portato al 50 per cento, e in una fase successiva non dovranno essere previste restrizioni in via generale, secondo quanto hanno prescritto la Commissione e la Corte di giustizia europea. Le stazioni appaltanti decideranno caso per caso i limiti del subappalto”.
Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, come avrà visto, si è espresso in maniera abbastanza vivace sul tema della semplificazione: “Non ci possiamo permettere il lusso di seguire norme troppo arzigogolate. E’ una sfida nella sfida. A volte ho l’impressione che sia più facile combattere l’ineluttabilità della natura nelle sue emergenze che l’ineluttabilità delle norme, che in fondo facciamo noi”. E’ d’accordo?
“E’ vero. Le parole di Cingolani, se mi permette, hanno un precedente illustre. Leopardi stesso nello Zibaldone dice che le norme spesso sono degli arzigogoli. Noi abbiamo cercato di semplificare, di molto, la valutazione di impatto ambientale. Adesso potrà durare meno di 200 giorni. Così, finalmente, potremo essere all’interno della media europea. C’è uno studio molto interessante della Banca d’Italia sulla durata della realizzazione delle opere, che mostra come la durata maggiore non sia tanto nell’aggiudicazione dell’appalto ma a monte, nella valutazione d’impatto ambientale”.
In Italia, come sa, i tentativi di rendere più veloci le autorizzazioni ambientali sono stati spesso accompagnati da moti di profonda diffidenza da parte di alcuni ambientalisti. Cosa può portare di buono all’Italia una svolta sulle autorizzazioni ambientali?
“Si tratta di una svolta essenziale. Tante sono le opere da realizzare in attuazione del Pnrr. Si va da grandi opere ferroviarie a quelle portuali, alle opere di realizzazione delle ‘infrastrutture verdi’, o di connettività elettronica. Gli appalti, come detto, faranno da protagonisti ed era indispensabile velocizzare le procedure. Così come era necessario accelerare le procedure e le decisioni in materia ambientale. Diverse ricerche hanno mostrato che i ritardi maggiori nella realizzazione di infrastrutture dipendono più dalla durata delle valutazioni d’impatto ambientale e dalla moltiplicazione delle autorizzazioni che non dalla lunghezza delle procedure per l’aggiudicazione dei contratti di appalto. E’ chiaro, al tempo stesso, che il codice dei contratti pubblici richiede una profonda riforma a regime, al di là del Pnrr. Una riforma che, in primo luogo, diminuisca drasticamente il numero delle norme, prendendo esempio soprattutto dal Regno Unito e dalla Germania; e che riduca e qualifichi le stazioni appaltanti”.
C’è un passaggio del Pnrr che merita di essere affrontato, ed è quello in cui si dice che “la corruzione può trovare alimento nell’eccesso e nella complicazione delle leggi. E che la semplificazione normativa è in via generale un rimedio efficace per evitare la moltiplicazione dei fenomeni corruttivi”. In che senso, professore, per combattere la corruzione occorre occuparsi prima di tutto dell’efficienza dello stato?
“Seneca diceva che la corruzione è un vizio degli uomini, non dei tempi. La corruzione delle persone c’è stata sempre e ovunque. Sul piano morale, politico, amministrativo, giudiziario. Ma c’è anche la corruzione del sistema, che si diffonde nei tempi e nei luoghi in cui le istituzioni s’indeboliscono, in cui le leggi si moltiplicano a dismisura, in cui la burocrazia si fa ingombrante, in cui i controlli non si rivelano adeguati e in cui la concorrenza e il merito sono scarsamente considerati. La corruzione del sistema incentiva la corruzione delle persone. I principali indicatori internazionali lo dimostrano. Ecco perché uno stato più efficiente e più semplice può aiutare a combattere la corruzione. Se si incrociano i dati che noi abbiamo sulla corruzione nel mondo si vede benissimo che la corruzione è più bassa in sistemi semplici, con poche norme, e più alta nei sistemi complessi. Scomodando la letteratura, nel primo capitolo dei Promessi sposi il povero Don Abbondio ha a che fare con i bravi. A un certo punto Manzoni scrive: ‘Non è che le leggi non ci fossero, anzi le leggi diluviavano’. E proprio perché diluviavano erano un vantaggio per i bravi, i prepotenti. C’è un principio matematico: troppe leggi e oscure significa nessuna legge”.
Sbaglia dunque chi dice che il Parlamento si deve valutare sul numero di leggi che riesce ad approvare?
“Il Parlamento dovrebbe concentrarsi sulle grandi leggi di principio, di cui abbiamo certamente bisogno. Ma l’iperlegislazione è un male assoluto e in qualche modo va attenuato”.
In questa conversazione ha citato Seneca, Leopardi e Manzoni. La provochiamo: quale grande autore del passato manca ancora per provare a inquadrare la nuova possibile stagione introdotta dalle semplificazioni?
“Quanto alla corruzione direi senza dubbio Cicerone, con il suo processo di Verre. Verre, lo sapete, è l’emblema della corruzione. Ne combinò di tutti i colori, soprattutto come governatore della Sicilia. E cosa faceva Verre? Approfittava dei vari cavilli negli appalti per programmare la corruzione, sfruttando l’eccesso di regole. Quanto all’eccesso di leggi, ricorderei la Scienza della legislazione di Gaetano Filangieri, e se i vostri lettori avranno la pazienza di rileggerlo si accorgeranno che Filangieri sosteneva che il vero obiettivo della legislazione è la semplificazione, non la complicazione”.
Il Pnrr dedica molto spazio anche al tema della concorrenza, come fattore essenziale per la crescita economica, per l’equità, e per una maggiore giustizia sociale. Perché in Italia il tema della concorrenza è sempre stato vissuto con grande timore, come se questa fosse inevitabilmente un veicolo di maggiore disuguaglianza?
“Questo è un punto fondamentale. Abbiamo una legge sulla concorrenza che ha compiuto trent’anni, nata cent’anni dopo lo Sherman act americano, la prima legge contro i cartelli di imprese. Abbiamo una legislazione aggiornata, un’autorità che applica questa legislazione e che ha lavorato in maniera efficiente. Purtroppo però abbiamo una cultura della concorrenza che è molto debole e anche nell’opinione pubblica la concorrenza è descritta come se fosse figlia di una diabolica logica del mercato, che naturalmente sarebbe contraria a qualsiasi aspirazione di solidarietà e giustizia sociale. Beh, questo è sbagliatissimo. La concorrenza può contribuire a tutelare i diritti anche non economici, a migliorare il nostro accesso alla salute, ad avere maggiore qualità, ad avere prezzi più bassi. E se la maggiore qualità e i prezzi più bassi riguardano i farmaci o i servizi essenziali possiamo chiederci: è questo il diabolico mercato o un contributo all’eguaglianza?”.
Lei è sicuro che questo governo riuscirà davvero a fare una legge sulla concorrenza?
“Lo faremo, lo abbiamo scritto nel Pnrr. So bene che la legge sulla concorrenza, che dovrebbe essere adottata ogni anno, finora è stata approvata una volta sola nel 2017. Ma ora è doveroso fare ciò che ci ha chiesto anche la Commissione europea: la legge annuale sulla concorrenza deve essere approvata ogni anno”.
Il Pnrr garantisce che la legge sulla concorrenza, che dovrà essere fatta entro luglio, avrà il compito di “Affrontare le restrizioni alla concorrenza, in particolare nel settore del commercio al dettaglio e dei servizi alle imprese, anche mediante una nuova legge annuale sulla concorrenza”. Lei sa che nell’opinione pubblica è ben radicata l’idea che la concorrenza sia per il commercio al dettaglio più un dramma che un’opportunità?”.
“Anche qui ci vuole un bilanciamento: la concorrenza serve a diminuire i prezzi e aumentare la qualità dei prodotti. Quindi se aiuta a diminuire i prezzi quando noi andiamo all’ipermercato direi che è un bel vantaggio, no? Il presidente Giuliano Amato, in uno dei suoi libri, diceva che in alcuni casi la concorrenza è più efficace della scala mobile dei salari: se si interviene sui prezzi aumenta il potere d’acquisto. Detto questo, ovviamente, l’ipermercato non deve distruggere il cosiddetto servizio di prossimità”.
Facile a dirsi.
“Bisogna assicurare che i servizi di prossimità non vengano spazzati via con delle norme che possano assicurarlo. Di nuovo, la faccia della concorrenza non deve essere spietata ma deve considerare anche i piccoli. E questo si può fare”.
Il Pnrr dice che non ci può essere una concorrenza all’altezza dell’Italia senza una giustizia all’altezza degli obiettivi del paese. Più velocità. Ma come si fa?
“Una giustizia più veloce può aiutare ad attrarre gli investimenti stranieri. Nessuna impresa viene in Italia se qui trova troppe regole e processi troppo lunghi. Chiunque si accorga che i processi in Italia durano molto più che in altri paesi finirà per ritirarsi. E’ molto semplice”.
Si può cambiare la giustizia senza intervenire sui Tar? Avrà notato che nel Pnrr le riforme dei Tar sono praticamente assenti.
“Le posso assicurare che molti dei mali che stiamo cercando di alleviare non dipendono dai giudici amministrativi. Il processo amministrativo è un processo molto rapido, più veloce di quello civile o penale”.
Si parlava di colli di bottiglia. Quali sono, rispetto alla concorrenza, i colli di bottiglia che vanno sbloccati?
“Penso soprattutto ai servizi, al terziario. Penso a quello che chiede la Commissione a proposito del servizio di distribuzione del gas. Si chiedono gare e si chiedono per ottenere prezzi più vantaggiosi e qualità maggiore. Ma accanto alla concorrenza, occorrerà fare anche una scommessa su un’autorità in grado di colpire gli illeciti.
Professore, quando ha conosciuto il presidente Draghi?
“All’inizio degli anni 90, quando Draghi era direttore generale del Tesoro e si occupava di privatizzazioni. Poi lavorammo insieme al dipartimento della funzione pubblica, per un progetto di innovazione della Pubblica amministrazione. Poi in Banca d’Italia ho avuto il privilegio di dargli una mano per una serie di questioni, dal piano filiali allo statuto della Banca d’Italia. Quello è stato un bellissimo periodo. Dopodiché l’ho perso un po’ di vista quando lui è andato a Francoforte”.
Ci descrive la sua giornata qua dentro? A Palazzo Chigi si racconta che il decreto semplificazioni abbia reso Draghi così felice al punto da aver organizzato con tutta la squadra di Palazzo Chigi nientemeno che un brindisi lunedì pomeriggio.
“Sono qui dalla mattina alla sera. Ci sono molte riunioni, molta attività di ricerca. C’è urgenza, tempi stretti: le riunioni sono a tamburo battente per decidere, ma la ricerca serve perché l’ambizione è di andare al di là del Piano, verso un orizzonte per il paese”.
Sbagliamo se diciamo che il suo auspicio è evitare che questa stagione possa essere per l’Italia solo una parentesi?
“E’ così. L’Italia merita una stagione di riforme che non deve essere chiusa”.
Una parentesi da non chiudere. Vale per le riforme, come dice D’Alberti. Ma vale anche per Draghi. E presto a Palazzo Chigi dovranno provare a chiedersi quale sia il modo migliore e il palazzo migliore su cui scommettere per far si che la parentesi di oggi possa chiudersi il più tardi possibile.