MIlano vede doppio

La destra a Milano vuole Gabriele Albertini vicesindaco. Ma il sindaco?

Si scandaglia la grande borghesia (che se ne resta nascosta). Entro 48 ore si promette la soluzione

Marianna Rizzini

La Lega doveva decidere a Milano, ma ora ci si mette anche la questione "federazione del centrodestra". E Milano non è Roma, né Beppe Sala è Virginia Raggi. Le possibili "combo" per il ticket

Che succede a Milano? “Niente”. Il tenore delle risposte di alcuni alti esponenti di salviniani e meloniani. La nemesi vuole che la città a cui il centrodestra stesso sempre pensava con il sorriso (prima di Beppe Sala, ma in generale anche durante, con l’idea di riprendersi la città), ora guardi in cagnesco chiunque osi porre la questione: chi candidare, a destra, a Milano? 


La parola magica della difficile via di uscita, intanto, è  “ticket”. “Ci vuole un ticket”, dicono da Forza Italia e non solo. 

 

Lo vorrebbero anche nella capitale del nord infatti, nel centrodestra, il duetto, come soluzione che tutto salva senza far inesorabilmente esporre nessuno, dopo averlo lanciato nell’arena nella capitale vera e propria, con il ticket Enrico Michetti-Simonetta Matone. E però: Milano non è Roma, e Beppe Sala non è Virginia Raggi, e un flop in quella che un tempo era una roccaforte non è cosa semplice da far dimenticare. Motivo per cui il vertice a tre Matteo Salvini-Giorgia Meloni-Antonio Tajani di domani o, dicono da Milano, “forse di dopodomani” (e lo slittamento eventuale è sintomo del problema), rimbalza di settimana in settimana concludendosi con un nulla di fatto. E se si guarda ancora più indietro, e cioè alla fine del 2020, si vede la stessa situazione di oggi: Beppe Sala che manifesta la volontà di ricandidarsi e il centrodestra che scivola in un Maelstrom di riunioni senza fine e senza inizio (della serie: meglio non riunirsi quando non si ha nessun nome davvero definitivo da spendere). E insomma, nella città in cui dire “civico” potrebbe e dovrebbe voler dire “grande borghesia”, la grande borghesia non si precipita a combattere per Milano. “Come per Roma, troveremo un accordo anche su Milano”, aveva detto uno speranzoso Salvini qualche giorno fa. Ma i giorni non hanno portato consiglio o almeno sollievo al perenne rimuginare, aggravato, se possibile, da quello che parrebbe l’uovo di Colombo: l’ex sindaco Gabriele Albertini, colui che il centrodestra voleva candidato e che ha opposto più volte un gran rifiuto, nei giorni scorsi è diventato coprotagonista dello scenario che lo vede rientrare come seconda gamba del ticket suddetto. Albertini ha infatti annunciato di voler scendere in campo per “aiutare Milano”, anche come numero due del futuro numero uno, “con una sola eccezione” (c’è anche la suspense), da comunicare solo in caso fosse proprio “l’eccezione” a diventare candidato. “Dopo aver rinunciato ad accettare la candidatura a sindaco, avevo confermato a Salvini, Berlusconi e Meloni di voler offrire il mio contributo”, ha detto Albertini, “suggerendo in stile Usa, visto che i comuni sono delle ‘repubbliche presidenziali’, la formula del ‘binomio’, accompagnando il candidato che venisse scelto”. Sondata da Alessandra Ghisleri, una lista Albertini potrebbe valere il 5 per cento. 


Di chi potrebbe essere il “secondo” Albertini, dunque? Il problema è anche a monte, nel patto ufficioso che pareva dover funzionare mesi fa, quando si pensava “a Roma il candidato lo deciderà Giorgia Meloni, a Milano Matteo Salvini”. Ma in mezzo c’è stato di tutto, cambio di governo compreso. E se è vero che a Roma  Michetti è espressione meloniana, non si sa quanto possa giovare a Salvini – in qualità di leader della Lega, sì, ma ora c’è di mezzo anche la leadership della federazione di centrodestra – lasciare che a Milano sia FdI a indicare il candidato (per esempio Maurizio Dallocchio, docente universitario, anche lui in precedenza riluttante). Sempre che si voglia restare sui civici, come dice la Lega: il commissario milanese del Carroccio Stefano Bolognini, mentre Forza Italia faceva capire di puntare sempre di più sul profilo politico dell’ex ministro e leader di Noi con l’Italia Maurizio Lupi, ora reduce da un piccolo incidente stradale, ribadiva: profilo civico. Non solo: si pensa che “l’eccezione” cui allude Albertini possa essere proprio il suo ex assessore Lupi, il nome voluto da Berlusconi. Ma si può, a Milano, prescindere da Berlusconi? Vagolano dunque ancora nella nebbia i nomi dei civici Riccardo Ruggiero, ex vertice Telecom Italia, e di Vincenzo Zuccotti, preside di Medicina alla Statale. Oltre alle possibili “combo” per il ticket: Oscar Di Montigny (manager Mediolanum) e Albertini; Dallocchio-Albertini; Fabio Minoli (relazioni esterne Bayer) e Albertini (piace ad Albertini); Lupi-Albertini (ostica per i motivi di cui sopra). Su tutto pencola l’incubo degli incubi per la Lega: e se ci si impone e poi si perde? Meglio, forse, lasciarsi imporre qualcuno. Intanto il programma, come la grande borghesia milanese, resta dietro le quinte. 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.