Dal pasticcio di Ancona al decreto stoppato. E ora anche il Pd inizia a picconare Giovannini
Per il porto di Ancona il ministro promuove un ingegnere dallo strano curriculum, e i dem insorgono: il blitz al Senato. Le assunzioni previste nel dl Trasporti fermate da Palazzo Chigi. Così il ministro delle Infrastrutture "che pensa troppo all'ambiente" è diventato nemico del "suo" partito
L’incidente che da tempo era incombente s’è alla fine prodotto sulla più venale delle dispute: quella sulle poltrone. Fatalmente, del resto. Un po’ perché la nomina di Matteo Africano a presidente dell’Autorità portuale dell’Adriatico centrale è avvenuta lungo uno strano asse che ha unito il ministro dei Trasporti con M5s e Fratelli d’Italia. E un po’ perché il candidato prescelto ha presentato un curriculum così pasticciato che è stato fin troppo facile, per il Pd (che magari sperava nella riconferma del fidato Rodolfo Giampieri), decidere che sì, era quello il momento ideale per aprire il fuoco contro Enrico Giovannini.
E insomma Davide Gariglio, deputato del Pd, ci s’è messo con puntiglio sabaudo a evidenziare tutte le contraddizioni presenti nelle documentazioni prodotte dall’ingegnere Africano (date che non coincidevano, dichiarazioni dei redditi stranamente esigue, foto ricavate da Google con nomi di cantanti americani usate per arricchire l’“ufficio tecnico” dell’azienda edile romana di cui è fondatore). E così, quando Giovannini ha proposto Africano, già promosso da Virginia Raggi nel comitato di gestione del porto di Civitavecchia, alla guida dell’autorità portuale di Ancona, concordando il tutto col presidente meloniano delle Marche, Francesco Acquaroli, nel Pd, da cui da almeno metà aprile s’erano segnalate le criticità di questa nomina, è scattato il blitz. E in commissione Trasporti del Senato, martedì scorso, l’intesa tra Pd, Forza Italia, Italia viva e singoli esponenti del Misto ha portato alla bocciatura momentanea della nomina.
Fotografia di un ministro in affanno, che doveva essere espressione di un’area, quella del Pd, che ora invece ne denuncia i ritardi e la mancanza di dialogo con deputati e senatori. Lui, tapino, in ogni regione ha un fronte aperto. I toscani gli rimproverano di snobbare l’Aurelia (“Così vìola un patto”, sbuffa il dem Andrea Romano); i liguri di non velocizzare i controlli sulle gallerie che bloccano il traffico tra Sarzana e Ventimiglia; i piemontesi di aver combinato un mezzo pasticcio nell’aggiudicazione dei lavori per la Torino-Piacenza, escludendo il gruppo Gavio dalla corsa. Perfino con un lombardo mite, come il renziano Mauro Del Barba, gli è toccato discutere, dopo che il deputato s’è messo a capo del fronte contrario all’introduzione della tutela ambientale in Costituzione, voluta da Leu e M5s e benedetta dal ministero, senza che vi sia contemplato anche lo sviluppo sostenibile.
Perché in fondo questa è un’altra delle critiche che ormai anche dalla sinistra del Pd viene mossa a Giovannini: l’interessarsi più alle questioni ecologiche che a quelle dei trasporti, lui che per prima cosa s’è intestato la ridenominazione del Mit in Mims, ministero delle “infrastrutture e mobilità sostenibili”. E forse nello zelo nominalistico s’è concentrato troppo, se, come dicono al Nazareno, ha fatto perdere a Porta Pia molto del peso politico che tradizionalmente quel dicastero vanta. Giovannini rivendica di aver provveduto alla nomina dei 58 commissari per le infrastrutture strategiche: ma anche quello lo ha fatto dando seguito a un dossier ereditato da Paola De Micheli. E invece ieri, quando sulla scrivania di Roberto Garofoli è arrivata la bozza del nuovo decreto “Trasporti” elaborato da Giovannini, è iniziato lo stillicidio. I nove articoli sono stati prima smembrati, e poi nel complesso rinviati: l’inciampo, pare, è stato su un costituendo comitato di ricercatori a cui era demandato il vaglio sulla sostenibilità ambientale delle infrastrutture da realizzare nei prossimi mesi. Assunzioni, insomma. Ritenute però non necessarie. E alla fine il decreto in Cdm non c’è andato.