L'intervista

De Vito, il grillino baciato dal Cav. "Berlusconi mi ha telefonato, con FI rinasco"

Grillo e Casaleggio, Di Maio e Di Battista, Raggi e il Campidoglio: la storia dei pentastellati vista dal nuovo acquisto azzurro

Simone Canettieri

Lo storico grillino della Capitale racconta i nove anni vissuti da protagonista nel M5s: dossieraggi, segreti, diktat e potere. "Il Movimento era diventato per me una gabbia"

Partì con il piffero a suon di vaffa nelle periferie romane – “i partiti e i palazzinari hanno spolpato la nostra città: prendiamoli a calci nel sedere!” – ed è finito in un sabato mattina di giugno ai gazebo di Forza Italia, nella borghese via Cola di Rienzo, a parlare di riforma fiscale con Antonio Tajani.  

Eppure Marcello De Vito ha fatto parte dell’esperimento guidato da Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo. Del primo M5s, tra fanatismo e pianeta Gaia, fu l’iniziato più importante di Roma.

“Nel 2013 non volevano mandare nessuno in televisione. In quella campagna elettorale, prime elezioni del M5s nella capitale, pretendevano che io mi confrontassi con Marino, Alemanno e Marchini senza strumenti. Puoi perdere, ma ci sono modi e modi per farlo. Mi imposi e andai da Formigli in confronto con tutti gli altri, poi a Sky, dove vinsi il sondaggio del pubblico. Fui il primo nel M5s, poi mi seguirono tutti. Di Maio a giugno del 2013 disse ‘dobbiamo fare come De Vito’. Grillo e Casaleggio non me lo hanno mai perdonato perché capirono che ragionavo con la mia testa”. 


Ora il Cav. gli ha ridato il sorriso. Sì, dice proprio così. “Certo, sono rinato, rigenerato”, apre le braccia seduto nel suo quartiere generale in Campidoglio. Dove da cinque anni è presidente del consiglio comunale e da qualche giorno capogruppo di Forza Italia (“Oggi mi sono dimenticato la spilletta: ma ce l’ho, eh”).  


Marcello De Vito è stato il primo candidato sindaco di Roma del M5s nel 2013 (12,8 per cento) e il grillino più votato nel 2016 (6.541 preferenze). Il 20 marzo 2019 è incappato in un’inchiesta della procura sullo stadio della Roma – 107 giorni a Regina Coeli e 137 ai domiciliari – e ora è in attesa di giudizio.

Intanto, l’assoluzione in Cassazione gliela ha data Silvio Berlusconi in persona, quando giorni fa lo ha chiamato. “Ci siamo sentiti la sera della mia conferenza stampa di presentazione. Io ero collegato in una trasmissione su Skype e il mio capo staff a margine mi diceva insistentemente ‘Ber-lus-co-ni al telefono’. Ci siamo sentiti subito dopo. Mi ha detto: benvenuto Marcello nella nostra famiglia. Il resto del contenuto della conversazione resta personale, ma posso dirle che ho molto apprezzato le  parole del presidente”, dice ancora questo avvocato romano, alto e tiratissimo, carnagione olivastra e occhi mai domi,  che custodisce quella chiacchierata come se fosse il segreto di Fatima. 


Il De Vito azzurro dice che è pronto a tappezzare il suo ufficio di bandiere di Forza Italia. Ma prima forse ha affidato al tritacarte i tazebao di Beppe Grillo. 
 

Marcellone, detto la Sfinge per il carattere silenzioso e introverso, è l’esempio vivente di un mondo in dissoluzione.  Ora racconta tutto questo con un sospiro di sollievo (le memorie di Marcellone o il Palamara pentastellato?). Ma anche con la faccia tosta di chi salta nel cerchio di fuoco: dal M5s a Forza Italia. Biglietto di sola andata. Lui però non la pensa così. Parla di un ritorno alla casa del padre dopo un’ubriacatura durata quasi nove anni. “Nel ‘93 appena diciottenne votai per Fini contro Rutelli. Mi piacque il suo percorso politico al pari della contestuale discesa in campo di Berlusconi e la nascita di quel nuovo asse Fi-An, diciamo liberale e sociale; poi votai per Tajani nel 2001, infine il Pdl nel 2008, sia a Roma che in Parlamento”.


Però diventò grillino e corse per il Campidoglio nel 2013. “Era il 25 aprile del 2012, ero in macchina e sentii l’allora presidente Giorgio Napolitano dire che non si può dividere la politica dall’antipolitica, definendo  Grillo un damagogo. Iniziai a dire no, non può dirlo, non il presidente, anche un comico può fare un partito, e gli articoli 49 e 87 della Costituzione? Giovanna, mia moglie, al mio fianco mi guardava come a dirmi ‘ma sei matto?’ e forse aveva ragione”

La moglie di De Vito, Giovanna Tadonio, diventerà assessore in un municipio (il III) e la sorella, Francesca De Vito, attualmente è consigliere regionale nel Lazio, sempre per il M5s. Li chiamavano i Mastella capitolini e il quartierone di Montesacro fu la loro Ceppaloni.

Dopo un’opposizione a Ignazio Marino abbastanza sgangherata, tra foto con le arance per gli arresti di Mafia capitale ed esposti lunari per la vicenda degli scontrini del chirurgo dem, il nostro eroe sente l’odore dell’impresa. Questa volta può farcela: può diventare sindaco. Ma prima ci sono le primarie del M5s (in rete) e De Vito subisce un dossieraggio patacca (lo accusano di aver aiutato un professionista a ottenere un documento dal comune) che però esce sui giornali e orienta il voto della base. La sfida interna la spunta Virginia Raggi. Todo modo? “Fu una pessima pagina, si inventarono una contestazione a gennaio 2016, poco prima delle primarie. Nel complesso l’intera fase post caduta Marino, da novembre 2015 alle primarie di febbraio, mi diede la misura di cosa poteva accadere in una forza che non aveva struttura, regole e democrazia interna, sebbene vantate, dove in realtà chi aveva più visibilità poteva condizionare esiti, scelte, indirizzi. I parlamentari e la comunicazione del Movimento giocarono un ruolo attivo nella primarie, in una sorta di risiko personale contro di me. Pessima pagina, lo ripeto. E alla fine vinse Raggi: strano eh?”

De Vito in quell’occasione conobbe bene Alessandro Di Battista, astro nascente del Movimento e pronto a prenderne le redini (sì, come adesso, solo che parliamo di cinque anni fa: il tempo per Dibba, beato, non scorre mai). “Dibba prese parte al gioco e lo fece da tifoso della attuale sindaca. Se utilizzi la tua maggiore capacità mediatica,  incidi nel M5s, o forse incidevi. Comunque allora si scelse Raggi in base alla capacità mediatica, non ai contenuti. E Dibba è così: ottimo comunicatore uguale distruttore, ma quando gratti quell’apparenza non vi è sostanza, contenuti e capacità politica, zero attributi nel momento di assumere decisioni o responsabilità. Per me è come una  figurina e nemmeno tanto rara: non è Pizzaballa, insomma”.


Roma è presa, intanto. E’ diventata la capitale morale del grillismo. “Signori, il vento sta cambiando”, saranno le prime parole della sindaca. Ma anche le sue ultime frasi serene, perché subito dopo, nemmeno il tempo di entrare in Campidoglio, e inizieranno i cambi di assessori e manager, i mezzi e presunti scandaletti giudiziari, i veleni. E le visite di Grillo, “accolto con terrore all’inizio da tutta la maggioranza”, pronto a convocare i cattivi al Forum e a bussare alle porte del Palazzo Senatorio in qualità di vero governatore della città. “Si è sentito per un periodo il re di Roma”, dice De Vito che diventa per riflesso di quel dossieraggio, più o meno consapevolmente, il capo dell’opposizione interna a Raggi. Tanto che i due non si parlano da subito. “Sotto la mia direzione dell’aula Giulio Cesare sono state approvate 830 delibere in 5 anni (diconsi ottocentotrenta), compresi i bilanci tempestivi di cui questa amministrazione giustamente si vanta tanto. Malgrado questo vi è sempre stata una latente freddezza nei rapporti con Raggi. Per farle capire: apprendevo degli atti di giunta che questa voleva portare in aula direttamente dal capogruppo di maggioranza, quasi sempre direttamente in conferenza. Non serve aggiungere altro. Chiunque sa di amministrazione capisce benissimo il valore del collegamento giunta-consiglio”.


Prima dell’arresto, e del conseguente allontanamento quasi fisico dal M5s, De Vito era l’uomo di fiducia in Campidoglio di Luigi Di Maio, che poi lo bollò, al tintinnar di manette, come mela marcia. “Non vi erano mai state frizioni, ma anzi grande considerazione reciproca, al punto che Di Maio per le elezioni 2018 mi chiese di occuparmi di tutti i collegi uninominali di Roma. Consideri l’importanza del momento e del ruolo. Parliamo di quelle elezioni nazionali, su Roma, dopo quasi due anni a dir poco complicati di amministrazione Raggi. Il risultato fu 6 collegi vinti su 11 alla Camera, 3 su 5 al Senato. Dopo tutto questo, lei quanto avrebbe trovato accettabili le parole con cui mi condannò pochi mesi dopo? Un momento difficile, indubbiamente, ma un leader lo vedi da questo. Da allora nessuna parola”.

Dopo la detenzione capisce che una storia politica è finita (sempre al Foglio dirà: “In carcere ho trovato più umanità che nel M5s”).

L’ultima parentesi grillina la definisce “una gabbia”. E ce l’ha “con Conte&friends e con quelli che dicevano mai con il Pd”.   Su Grillo conclude: “Ho pensato che il ruolo di leader fosse spropositato per lui. Altro che elevato. Quel video in difesa del figlio rivela bene la natura del personaggio. Ho provato autentica pena per i commenti condiscendenti e supini di uomini e soprattutto donne 5 stelle. Era esattamente quello che non potevo più sopportare. Ora libertà!”.

Poi ha un sussulto: “Sa che c’è? Mi ha stancato parlare del passato: troppo facile. Perché non mi chiede la mia opinione sul progetto di federazione del centrodestra? Credo che, seppur con tutte le sue diversità, sia un cantiere molto più vivo rispetto a ciò che accade a sinistra, dove si pensa solo alla Legge Zan e a come prendere pezzi di M5s”. Ma ormai, nel 2021, sempre qui si va a finire.  

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.