Ddl Zan
Il "concilio" di Draghi. Sia laico che cattolico. Il Pd lavora ai miglioramenti
La risposta alla Nota verbale della Santa Sede permette al premier di stare in equilibrio
Sopra il ddl Zan. "E' il momento del parlamento che è libero di legiferare". Draghi risponde dopo la nota della Santa Sede ma lo fa con equilibrio. Il Pd pronto a limare il testo. Marta Cartabia in aiuto
Roma. Ha ricordato che il “nostro è uno stato laico” ma non “indifferente al fenomeno religioso”. Ha ribadito che “non è uno stato confessionale” ma che sulle leggi esistono “i controlli di costituzionalità”. Ha detto che questo è “il momento del Parlamento e non il momento del governo. Un Parlamento certamente libero di discutere e legiferare”. Mario Draghi ha avuto il coraggio di parlare del ddl Zan ma deputati e senatori non avrebbero mai voluto fargli la domanda. Il premier aveva infatti promesso una “risposta strutturata”, ma nessuno aveva preparato la domanda malandrina. Va detta meglio. Ieri, quando si è presentato, prima alla Camera e poi al Senato, non ha trovato l’onorevole “mi incateno”. Nessuno voleva pronunciare le tre lettere che hanno fermato l’Italia e riaprire i sussidiari alla pagina “papa e re”.
Non c’era parlamentare che volesse sul serio esaminare la “Nota verbale” della Santa Sede contro il disegno bandiera del Pd, quel “fermatela perché vìola gli accordi sottoscritti”, ragionare sui limiti del Concordato. Tutti volevano sapere cosa pensasse il premier ma altra cosa è chiederlo a voce alta. Tutti volevano sicuramente ricordare alla Chiesa che qui “si fa a modo a nostro” ma poi, in Aula, si è tradotto in un appello risorgimentale del senatore Alessandro Alfieri: “Libera chiesa in libero stato” e non nello “scendiamo in piazza contro i prelati”. Roberto Fico è intervenuto, in differita (di mattina e in televisione), per tutelare l’istituzione: “Il Parlamento è sovrano. Decide in maniera indipendente. Non accettiamo ingerenze da parte della Chiesa”. Ma è vera ingerenza invitare a scrivere meglio i testi di legge?
Palazzo Chigi ha lavorato sulla posizione da tenere, sulla risposta che si preferiva argomentare. Il Pd, per quanto se ne dice, insegue una pace condivisa piuttosto che scatenare una guerra che si potrebbe perfino perdere di fronte alla Corte costituzionale. Non lo confermeranno, ma da quando la notizia della nota si è diffusa, uomini di governo e uomini vicini a Enrico Letta hanno inforcato gli occhiali e cerchiato le asperità di un disegno che rimane un disegno che, pure nel Pd, si ritiene si “debba migliorare”.
E’ la prima grande opportunità che ha questo partito per dimostrare di essere non tanto il partito più leale nei confronti del governo, ma per spiegare che non c’è nessuna angoscia e che “sul testo si va avanti, ma senza fare gli ottusi e i presuntuosi”. La notte del 22 giugno è iniziata un’ interlocuzione fra Palazzo Chigi e la segreteria del Pd. Perché dunque nessuno, alla Camera, chiedeva: “Caro presidente, qual è la sua opinione sul disegno zizzania?”. Perché le “comunicazioni” erano sul prossimo Consiglio europeo. E infatti è stato un lungo discutere di immigrazione, di concorrenza, e a tratti è sembrato un saggio di nuova geopolitica con Draghi che spiegava quanto fosse cambiato il mondo da Trump a Biden, del ruolo che l’Italia deve avere di fronte alla Cina che “è un concorrente” e di quanto possa essere pericolosa la concorrenza che si fa sleale.
I deputati si sono sentiti sollevati quando hanno compreso che non era la Camera il luogo scelto ma il Senato. Stefano Buffagni, che si definiva “cattolico”, faceva penitenza e non dichiarava. Lucia Azzolina, una ex ministra troppe volte maltrattata, non maltrattava tutti i suoi valori: “Io il ddl Zan lo difendo”. Il Pd ha difeso questo testo (“andiamo avanti”) per voce del segretario. E però era sempre lo stesso Letta a riconoscere, non ascoltato, che si può derogare con abilità e che imporre alle scuole cattoliche “la giornata nazionale contro l’omofobia” non è il “da qui non si passa”, ma qualcosa che merita approfondimento.
Non è un segreto che nel Pd esista una fronda di cattolici dubbiosi. E’ un’area che non vuole fare guerra al segretario ma che non può rimettersi in tutto al volere della segreteria. Andrea Marcucci, che è un liberale, quando era ex capogruppo al Senato, aveva indicato l’insidia di questo disegno e incitato a studiare ancora. E’ quell’ area che non si è stupita di fronte alla nota della Santa Sede e che, ieri, rimproverava “la scarsa attenzione che il Pd ha riservato alle parole del cardinale Bassetti di poche settimane fa. Ci aveva teso la mano”.
La risposta di Draghi è stata quindi sul serio strutturata perché a Palazzo Chigi si pensa che il tema “tocca sfere complesse: religione, diplomazia, giustizia”. Sono tutti motivi che impongono neutralità che non equivale alle mani di Pilato. C’è una ministra che più di tutti gli altri non potrà che essere chiamata a mettere la sua sapienza a servizio. E’ la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, “la componente del governo che ha una sensibilità verso il cattolicesimo, una donna diritta e di diritto”. L’orizzonte è la soluzione ragionevole mentre il vero peccato è fare di Draghi, a seconda delle righe, il premier un po’ laico e un po’ cattolico. E’ entrambi. E’ due. E’ l’uomo capoverso: “Voglio precisare che la laicità non è indifferenza dello stato rispetto al fenomeno religioso, la laicità è tutela del pluralismo e delle diversità culturali”. La sua religione è il concilio.