Il guaio europeo sul gender
Il rigetto delle intolleranze “per l’orientamento sessuale e l’identità di genere” è ineccepibile. L’adesione ai criteri di valore su cui è costruita l’ideologia Lgbti è più problematica. Cari leader europei, sicuri di aver capito cosa avete firmato?
Lgbti: per sedici leader europei questa formula esoterica rinvia al compimento dei valori di libertà e di tolleranza che stanno “a fondamento dell’Unione”. In una lettera ai portavoce massimi dell’Europa sovranazionale, da Merkel a Draghi, da Macron a tutti gli altri, sono denunciati “odio, intolleranza e discriminazione” e ci si proclama “dalla parte del rispetto della diversità e dell’eguaglianza Lgbti affinché le future generazioni possano crescere in un’Europa basata sull’eguaglianza e il rispetto”. Sono affermazioni per un verso ovvie e per un altro molto impegnative. Il rigetto di odio intolleranza e discriminazione “per l’orientamento sessuale e l’identità di genere” (la percezione soggettiva di appartenenza a un genere diverso dall’identità sessuale originaria) è ineccepibile, fa parte del rispetto per la privacy e i diritti soggettivi. L’adesione ai criteri di valore su cui è costruita la cultura o l’ideologia Lgbti, che traspare dalla lettera o è implicata dal maestoso documento dei capi europei, è più problematica.
Non fanno problema la Elle la G la B e la I, che stanno per Saffo (lesbiche), Oscar Wilde (gay, bisessuale) o per l’Ermafrodito (intersessuale): sono condizioni ormai per dire così ordinarie, coniugalità compresa, dopo essere state trasgressioni e passioni straordinarie come varianti del piacere e dell’amore e della condizione sessuale tradizionale, biologica e biblica, che ruota intorno alla coppia binaria Maschio e Femmina. E’ parecchio discutibile la T della formula, transgender. Ed è strano che la formula sia menzionata in modo incompleto, mancano nel testo dei leader europei la Q e il +. Infatti l’autodefinizione della comunità che l’Europa istituzionale è solennemente decisa a proteggere anche simbolicamente, sul piano dei valori, è Lgbtqi+, dove Q sta per genderQueer, cioè rifiuto anche di una discussione sull’identità di genere che è uno spettro variabile di infinite possibilità, quindi “genderfuck”, e il + significa l’apertura della comunità a molte altre varianti della costruzione del gender, quell’identità di genere menzionata diligentemente nella lettera dei leader accanto all’orientamento sessuale come valore da proteggere.
Mettere sullo stesso piano l’orientamento sessuale (LGB) e l’identità di genere (T), e per la I la Q e il + si vedrà come approfondire, perché dietro a quelle ultime lettere sta una Babele di significati antropologici, psichiatrici, biologici, ingegneristici, è un’operazione ardita, ma è l’essenza dell’ideologia o teoria del gender, cioè l’idea che l’identità di genere è una costruzione libera della coscienza individuale. L’impressione, con l’ipocrita caduta della Q e del +, ma con la T ben in vista, è che tra i fondamenti dell’Unione europea ora sta una teoria che non a caso richiede innovazioni linguistiche, asterischi, nuove lettere, e trasformazioni della grammatica (chi rifiuta un gender specifico o oscilla tra i generi deve essere chiamato “essi”, e non banalmente lui o lei): infatti è in questione non già il rispetto tollerante verso comportamenti difformi da una norma che si giudichi obsoleta e la dignità di autodeterminazione della persona, ma un mutamento radicale della grammatica del mondo.
Siamo sicuri che al di là della tendenza inclusiva, tanto più rispettabile in quanto contestata con rozzezza dalle democrazie cosiddette illiberali, la classe dirigente europea abbia fatto una sufficiente riflessione sulle vaste conseguenze della teoria del gender, dopo aver deciso di formalizzare nei diritti la parificazione non del tutto appropriata di matrimonio, filiazione e parentalità in nome dell’eguaglianza? Io non ne sono sicuro.