Il retroscena
Conte: "Grillo un padre padrone, ma non torno a fare il prof". Ecco la scissione M5s
Nel giorno del Vaffa-day il Movimento piomba nel caos. Conte punta sulla rivolta anti-Beppe per creare nuovi gruppi in Parlamento
Il Garante licenzia l'ex premier e dopo tre anni si accorge che non ha il quid. Ma l'avvocato del Popolo è pronto alla riscossa: svuotare il Movimento alle Camere
Il governo Draghi sblocca i licenziamenti e Beppe Grillo si adegua subito: con un vaffa violentissimo mette alla porta Giuseppe Conte. Gli dà in pratica del parruccone per via dello “statuto seicentesco”. Lo chiama “principe azzurro” con mancanza di quid. Ed è una mattanza del delfino già vista, appunto. Per non farsi mancare nulla il monarca Grillo restaura tutto e richiama Davide Casaleggio e Rousseau. Conte viene colto in contropiede: aveva fatto male i conti. Per la seconda volta negli ultimi sei mesi.
Il Vaffa-day si anima intorno alle 17. Beppe Grillo con un post decide di affossare per sempre colui che ha rappresentato per tre anni il M5s a capo del governo: “Non ha né visione politica, né capacità manageriali. Non ha esperienza di organizzazioni, né capacità di innovazione. Io questo l’ho capito, e spero che possiate capirlo anche voi”.
A ulteriore sfregio annuncia di aver richiamato sotto le armi Davide Casaleggio e la piattaforma Rousseau dove si terrà la votazione per il direttivo a cinque del Movimento.
In poche parole si ritorna agli Stati generali grillini, al direttorio, agli iscritti che decideranno chi piazzare alla guida del partito. E si ritorna al figlio del cofondatore Gianroberto, licenziato da Conte dopo lunghe trattative e ora di nuovo centrale. Puff.
In un attimo tutte le belle storie sui pontieri al lavoro svaniscono: le dichiarazioni dei ministri e del presidente della Camera sono buone per incartare il pesce. “Beppe ha deciso da solo e non ha mai risposto a nessuno”, raccontano i pochi, non parlamentari, che nelle ultime 24 ore lo hanno dissuaso dal fare il video. La clip non c’è stata, ma l’uragano è arrivato lo stesso.
Luigi Di Maio apprende la notizia mentre sta presiedendo il G20 a Matera. Il ministro degli Esteri tornerà ancora più centrale: magari nel direttorio che nascerà. Ma questi sono ragionamenti che al momento nessuno fa. Perché intanto il M5s sbanda e non sa più che verso prendere. Grillo non ha un piano B e la sua creatura finisce per un pomeriggio nell’anarchia. Si rifanno vivi i Nicola Morra e gli Elio Lannutti pronti a tornare in pista al fianco del Garante. I deputati, soprattutto i peones, capiscono di non avere futuro nel M5s. E contestano nelle chat la mossa di Grillo, così di pancia, così padronale, così assoluta. Roberta Lombardi, che è assessore regionale nel Lazio in compagnia del Pd, contesta le parole del grande vecchio: “Un errore ritornare con Rousseau, non condivido nemmeno una parola di Beppe”. Virginia Raggi, a Roma, è preoccupata: gli schizzi di fango interni rischiano di azzoppare, e non poco, le già complicate possibilità di essere rieletta.
E’ tutto un grande rumore di fondo questo barcone senza Caronte. Bisogna cercare Conte. Subito. L’avvocato non risponde per le rime, per ora, ma “si limita a constatare che Grillo ha fatto la sua scelta: di fare il padre padrone della sua creatura”. A chi lo chiama ammette di sentirsi spiazzato: non immaginava che si arrivasse a questo punto, al benservito, al mai più. L’ex premier pensava di essere indispensabile nel Movimento, l’unico in grado “di risollevarlo da un declino”, ormai nei fatti dal giorno dopo le politiche del 2018. Invece non è andata così. E adesso? “Non tornerà a fare il professore”, raccontano i parlamentari che riescono a contattarlo. E dunque è pronto a mettersi in proprio a spaccare il Movimento e a svuotare i gruppi parlamentari? Il disegno è complicato, ma ha questo approdo. Ed è pronto a impattare anche sul governo Draghi. I ministri più contiani del reame, come Stefano Patuanelli e Federico D’Incà, per il momento frenano. Sanno che questa transizione, altro che quella ecologica, si annuncia complicata. Ma che alla fine sarà obbligata. Luigi Di Maio aspetta e medita: cerca di prendere le coordinate a una rottura che non era pronosticata. Evidentemente sono davvero in pochi tra i grillini a conoscere fino in fondo Grillo.
Per il momento l’ex premier prende tempo: per costruire il suo partito servono soldi e struttura. Alla Camera può formare subito un gruppo che gli dreni finanziamenti, al Senato serve un simbolo. Ma qualsiasi scelta è prematura: di sicuro non tornerà a Novoli, dove già una volta lo ha spedito Matteo Renzi. Ma allo stesso tempo deve aspettare che la rivolta dal basso contro Grillo prenda forma, si gonfi, diventi un tema politico lacerante. E poi calerà il suo asso. E sarà scissione. Una mezza Fiuggi ma senza bollicine, una scheggia di Bolognina, forse. Grillo lo ha cacciato e lui tornerà, assicura, come d’altronde è già tornato Davide Casaleggio. Insieme al caos.