Né scontro di ideologie né di parole
"C'è scissione e scissione. Nel M5s è solo lotta di potere", dice il politologo Galli
Post, telefonate negate, video e due Giuseppe l'un contro l'altro armati
"Siamo stati defraudati persino del pathos". A sinistra come a destra, dalla nascita del Pci alla svolta di Fiuggi
Hai voglia a dire scissione, di fronte al pasticciaccio a Cinque Stelle. La parola evoca infatti drammi, discorsi, compagni che sbagliano, compagni che tornano, rincorse della storia, sottoscala fumosi di partiti estinti. A sinistra dal 1921 in poi (nascita per scissione del Partito comunista), e giù giù fino ai più modesti giorni nostri, con Matteo Renzi da un lato e Pierluigi Bersani dall’altro. A destra con il ricordo ancora vivo della svolta di Fiuggi. Stavolta però non ci sono ideologie l’un contro l’altra armate, e neanche mancata sopportazione delle idee e parole altrui. Ci sono due Giuseppe (Grillo e Conte) impegnati in una lotta di post, video, telefonate negate e dissidi che spesso riguardano, se non la mobilia, la gestione spicciola del carrozzone e dei suoi abitanti. “Diciamo che siamo stati defraudati persino del pathos della scissione”, scherza amaramente il politologo Carlo Galli, docente a Bologna e firma di Repubblica.
“Non siamo di fronte, in questo caso, a giganteschi scarti ideologici in un partito, come abbiamo visto nei casi socialista, comunista e missino. Non ci sono i presupposti: in questo caso la politica non passa attraverso una mediazione culturale. Qui la scissione si delinea perché non si vuole obbedire a un capo, e nel M5s lo si capiva dai prodromi, che sarebbe finita così, con la raffica di espulsioni nel 2013 e nel 2018”. Si gioca tutto, ora, dice Galli “attorno al fatto di dover stabilire chi comanda tra il vecchio detentore di un potere per così dire carismatico, l’ex comico Grillo, e il nuovo detentore del potere per così dire di “coalizione”, il Conte che ha governato sia con la destra sia con la sinistra. Il cittadino-spettatore è disorientato, come se non avesse gli strumenti per decifrare questo conflitto, non a caso simile a quello andato in scena qualche tempo fa con Davide Casaleggio come co-protagonista”.
Il problema è anche a monte: “Il M5s nasce come movimento personale e padronale; poi è arrivato Conte che non fa parte della sua storia primigenia, eppure lo stesso M5s l’ha presentato come premier. Ora ci si trova di fronte a un puro scontro di potere personale che potrebbe portare alla divisione”. Che cosa si contendono, i due avversari? “Ammesso che attivisti ed eletti vadano tutti con Grillo o tutti con Conte, e si è già visto che non così, ci si contenderebbe un 15 per cento di voti. Più i gruppi parlamentari: chi controlla i gruppi può influenzare l’elezione del prossimo presidente della Repubblica”.
Quanto alle sorti del governo, dice Galli, “sappiamo che Conte non ama Mario Draghi e pensa di essere stato vittima di un complotto. Dopodiché io credo che la responsabilità di far cadere Draghi non se la prenderebbe nessuno. Certo, il premier non uscirebbe rafforzato dal fatto che gli si sbricioli davanti agli occhi quello che era il primo partito uscito dalle elezioni del 2018. E però siamo alla vigilia del semestre bianco, a chi converrebbe far cadere il governo? E’ vero che il Colle non può sciogliere le Camere durante i prossimi sei mesi, ma se cadesse il governo il nuovo presidente della Repubblica, appena insediato, scioglierebbe subito. I parlamentari cinque stelle sanno che nel prossimo Parlamento i numeri degli eletti saranno ridotti di molto, senza contare il nodo del terzo mandato. Sempre che si voglia attribuire capacità di ragionevolezza alla forza politica in questione, in questa crisi più politica che istituzionale”.
E gli elettori? “Gli elettori forse comprenderanno l’errore compiuto dando la maggioranza a un’entità priva di consistenza, che al momento sembra aver capito soprattutto che il potere è bello e che bisogna tenerselo. La Dc, con tutti i suoi problemi, è stata al potere per decenni e non si è mai scissa”. Poi c’è il Pd, che ha scommesso tutto sull’alleanza con i Cinque Stelle: “Il Pd giustamente è in preda a un grande travaglio: ha puntato sul cavallo sbagliato, troppo debole. Ora dovrebbe avere la forza di prepararsi a ripensare la propria esistenza, attrezzandosi a fare magari una legislatura dall’opposizione, per poi ripresentarsi con vitalità e visione e riuscire a superare il 20 per cento”.