Populismi al tramonto ma non basta godersi lo spettacolo

Claudio Cerasa

Grillismo in crisi, movimenti anti sistema in difficoltà (non solo in Italia) e in lotta tra di loro. E’ una grande occasione  per ricostruire i partiti,  rafforzare la democrazia liberale e scommettere sulla società aperta

Si potrebbe ironizzare a lungo sullo spettacolo incredibile offerto in questi giorni dal Movimento 5 stelle e si potrebbe infierire quanto si vuole su tutto ciò che questo spettacolo ci dice sulla vera natura del grillismo, sulla sua identità e sulla sua sostanziale incompatibilità con il principio di realtà. Ma una volta messa da parte la tentazione malmostosa di voler sparare sulla croce (giallo)rossa si potrebbe spendere qualche minutino per ringraziare il Movimento 5 stelle, a nome di tutta l’Europa, per quello che ha fatto in questi anni e in particolare per quello che sta facendo nelle ultime ore. Non svenite, provate a seguire il ragionamento. La ragione per cui nel Movimento 5 stelle sono saltati i nervi, se ci si riflette un istante, ha a che fare naturalmente con uno scontro personalistico tra due leadership forse non compatibili l’una con l’altra, quella di Beppe Grillo e quella di Giuseppe Conte. Ma lo scazzo tra i due Beppe è la conseguenza, e non la causa, di un’implosione politica molto più importante, in cui il M5s è solo un tassello di un mosaico più grande.

 

Il grillismo, come sappiamo, è in crisi non perché a essere in crisi è il rapporto tra Grillo e Conte ma perché il populismo, in Italia ma non solo, è arrivato al capolinea e, molto semplicemente, non sa più che pesci prendere, non sa più cosa dire, non sa più come riciclarsi, non sa più come rivendersi e non sa più dove guardare. Bisogna dunque ringraziare di cuore il Movimento 5 stelle per l’incredibile spettacolo che sta offrendo al paese perché avere oggi la possibilità di osservare da vicino la lotta tra i populisti è uno show per cui vale la pena pagare il biglietto nonostante tutti i danni combinati in questi anni dai movimenti anti sistema (giustizialismo, uno vale uno, diffidenza per la scienza, cultura anti casta: l’elenco sarebbe troppo lungo).

 

Vale la pena osservarlo con attenzione non per ragioni di puro cinismo (che comunque non guastano) ma semplicemente perché lo show dei populisti in lotta tra di loro rappresenta bene il nostro spirito del tempo. Tre anni fa, i populisti di ogni genere si osservavano l’uno con l’altro con gli occhi a cuoricino e non facevano mistero di sentirsi tra di loro più in sintonia di quanto non lo potessero essere con i partiti tradizionali (era la stagione in cui gli estremismi si attraevano). Tre anni dopo i populismi si trovano invece in una condizione molto diversa (ora gli estremismi si respingono) e in modo più o meno comico tentano di dimostrare di essere diventati un argine al populismo degli altri (vai avanti tu che a me viene da ridere). In fondo è questo quello che dice Conte a Grillo: basta con la stagione populistica del Grillo padre e padrone (tu quoque!). In fondo è questo quello che dice Grillo a Conte: basta con la stagione degli incompetenti al governo (tu quoque!). E in fondo è questo il vero e forse unico collante del centrodestra: votate noi, scegliete noi, perché siamo noi il vero argine al populismo grillino (il tutto mentre in Europa Salvini limona duro con Orbán, con l’AfD e con Vox: vai avanti tu che a me viene da ridere).

 

Lo spettacolo comico offerto dal M5s, ovviamente, non è meno comico di quello offerto dalla Lega, che provando ogni giorno a cancellare una qualche legge fatta dal governo di cui era azionista di maggioranza nel 2018 (prescrizione, reddito di cittadinanza, Memorandum con la Cina) ci ricorda quanto sia pericoloso avere la Lega al governo in una posizione di forza (mai più, grazie). Ma nonostante la comicità evidente dei populismi che lottano tra loro c’è un dato politico interessante che è questo: i movimenti e i partiti un tempo anti sistema hanno capito che il proprio futuro passa dalla capacità di essere percepiti come un argine a una qualche altra forma di populismo e hanno capito che per poter essere considerati come non impresentabili necessitano di essere legittimati come tali da qualcuno di più presentabile di loro (Salvini e Meloni vogliono Draghi al Quirinale non per garantire un futuro più roseo all’Italia, ma per garantire un futuro più roseo alle proprie leadership). Tutto bene? Tutto finito? Fine del populismo? Non proprio. Nicolas Baverez, formidabile saggista francese, ha dedicato sull’ultimo numero del Point un editoriale al tema del populismo in crisi così intitolato: “Quando il populismo perde il popolo”.

 

Baverez ha notato che, inaspettatamente, la pandemia ha introdotto un cuneo tra i populisti e il popolo, ha gettato una dura luce sulla loro incompetenza, ha illuminato la loro irresponsabilità nell’esercizio del potere e ha messo in evidenza come il culto della forza e la negazione della realtà hanno portato spesso i populisti a sfidare o sottovalutare l’epidemia con tragiche conseguenze. Baverez, per citare i casi dei partiti anti sistema in difficoltà e sotto assedio, descrive l’accerchiamento di Orbán; dà conto delle proteste in Polonia contro la proliferazione di misure ostili all’omosessualità e all’immigrazione; riporta la storia del premier sloveno, Janez Jansa, uno dei leader europei più vicini a Orbán, che il primo giugno si è salvato da un voto di sfiducia per soli due voti; cita il caso del flop della Le Pen in Francia alle regionali (zeru tituli); e nota come l’AfD in Germania e la Lega di Matteo Salvini in Italia siano ormai da tempo costrette a fare i conti con una difficile transizione identitaria (Salvini a Roma dice viva Draghi, a Bruxelles dice viva Vox). I populismi, continua Baverez, sono oggi dunque schiacciati dalla dimostrazione della loro incompetenza. Ma – e qui arriva l’intuizione del saggista francese – lo spettacolo desolante offerto fino a oggi non deve essere considerato come un tranquillizzante inizio della fine.

 

Deve essere considerato, al contrario, come una grande occasione che hanno i partiti tradizionali di ridare un fascino alle democrazie liberali, ricordandosi che le complessità generate dallo choc sanitario ed economico derivante dalla pandemia potrebbero offrire ai populisti, in mancanza di risposte responsabili da parte dei governi, buone chance per ritornare a sognare. Dunque, per ora godiamoci lo spettacolo, ringraziamo chi ha permesso ai populisti di farli governare solo per il gusto di vederli esplodere ma ricordiamo che per mettere in soffitta il populismo, e trasformare i rutti anti sistema in una piccola minoranza vociante, serve fare qualcosa in più che mettersi comodi a guardare lo show. Serve ricostruire i partiti, serve rifondare i corpi intermedi, serve rafforzare la democrazia liberale, serve scommettere sulla società aperta e serve ricordarsi che la sfida ai populisti si vince non tanto al centro quanto sul terreno della libertà. E’ una sfida difficile ma è la sfida dei prossimi anni. E chissà che l’Italia, anche grazie a Draghi, non riesca a essere, anche questa volta, un laboratorio per tutti.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.