internazionale sovranista
L'abbraccio di Salvini a Orbán agita gli eurodeputati leghisti
Giorgetti minimizza ("Matteo è fatto così...") ma a Bruxelles c'è malessere. I dubbi della Ceccardi e di Da Re. Ma i salviniani resistono: "A Budapest si sta da dio". Tajani intanto annuncia quattro nuovi ingressi in Forza Italia
A che gli ha chiesto spiegazioni, Giancarlo Giorgetti, col ghigno di sempre, ha offerto la canonica alzata di spalle: “Lo sapete com’è fatto Matteo? A volte agisce d’istinto, poi ci ripensa. Insomma, non mi pare un dramma”. E un dramma forse no, la firma della Carta dei valori sovranista non lo rappresenta neppure per i parlamentari europei. Ma un certo subbuglio, nella truppa brussellese del Carroccio il fattaccio lo ha provocato lo stesso. Intanto per una questione di metodo, nel senso che nessuno, o quasi, era stato avvertito per tempo dell’imminenza dell’iniziativa. E poi, ovviamente, per i contenuti di quel documento.
C’è perfino chi, per provocazione, s’è divertito a confrontare in modo analitico alcuni passaggi di quel documento promosso da Viktor Orbán con quelli del discorso programmatico pronunciato da Mario Draghi quando, a metà febbraio scorso, chiese la fiducia alle Camere. “La cooperazione europea sta vacillando, soprattutto perché le nazioni si sentono lentamente spogliate del loro diritto ad esercitare i loro legittimi poteri sovrani”, si legge nel testo sovranista firmato anche da Salvini e Meloni. “Gli Stati nazionali rimangono il riferimento dei nostri cittadini, ma nelle aree definite dalla loro debolezza cedono sovranità nazionale per acquistare sovranità condivisa”, dichiarò il premier. “Siamo convinti che la sovranità in Europa sia e debba rimanere in capo alle nazioni europee”, sta scritto nella Carta. “Non c’è sovranità nella solitudine. C’è solo l’inganno di ciò che siamo, nell’oblio di ciò che siamo stati e nella negazione di quello che potremmo essere”, spiegava Draghi. Come insomma che ogni cosa che l’ex capo della Bce prospettava come conquista da perseguire, dall’internazionale sovranista di Salvini e Meloni venisse rivoltato in distopia, in minaccia da scansare, perché “l’Ue sta diventando sempre più uno strumento di forze radicali che vorrebbero realizzare una trasformazione culturale e religiosa, per arrivare alla costruzione di un’Europa senza nazioni, puntando alla creazione di un Superstato europeo, alla distruzione o alla cancellazione della tradizione europea, alla trasformazione delle istituzioni sociali e dei principi morali fondamentali”.
Paolo Borchia, europarlamentare di provata fedeltà salviniana, coi colleghi che gli chiedevano chiarimenti, durante una riunione di gruppo lunedì scorso, ha tagliato corto: “Guardate che io torno ora da Budapest, e lì si sta da dio”. Poi mercoledì, durante la plenaria a Strasbugo, ha preso la parola per difendere Orbán dalle presunte “minacce” della von der Leyen, spiegando che semmai “è a Bruxelles che c’è un deficit di democrazia”. Eppure non deve essere stato troppo convincente se perfino una insospettabile come Susanna Ceccardi, agli amici toscani che le chiedevano che senso avesse questa iniziativa, ha risposto stringendosi nelle spalle: “Non me lo so spiegare”. Malumori, sbuffi d’insofferenza, in un partito che resta militarmente refrattario alla dissidenza. E però anche Toni Da Re, colonnello veneto a Bruxelles che come tutti i veneti (anche quelli che bazzicano in Transatlantico) lamenta da tempo una progressiva marginalizzazione della Liga e la rimozione dell’autonomia dalle priorità di Via Bellerio, viene descritto come assai scettico della strambata sovranista. E così anche Gianna Gancia, e come lei Matteo Adinolfi: in tanti a covare un malessere taciuto a fatica. Talmente a fatica che Antonio Tajani si frega già le mani: e ai colleghi di Forza Italia ha annunciato che a settembre ci potranno essere quattro nuovi ingressi in gruppo: due dal M5s e due dalla Lega.