Le maniere Fuortes
Chi è Carlo Fuortes, il nuovo ad della Rai
Dopo il miracolo compiuto al Teatro dell’Opera, ora dovrà mettere in riga il carrozzone Rai
Nella giornata più torrida dell’anno, mentre i riflettori Rai irroravano dall’Ara Coeli al paese intero i funerali di Raffaella Carrà, ecco una delle liturgie più fondamentali in città, la nomina dei vertici Rai. Da mesi fiorivano le ricerche, si sapeva che per il profilo di presidente e per quello di amministratore delegato si cercavano soprattutto femmine di prestigio, oppure in seconda opzione maschi, ma che non avessero legami con la politica (dunque, creature in entrambi i casi rarissime in Italia). Alla fine sono riusciti: Marinella Soldi presidente, e Carlo Fuortes ad.
Se la prima è l’ex numero uno di Discovery, Fuortes, come si scrisse qui sul Foglio, era un profilo che girava da tempo, ed è un nome che evoca da sempre efficienza temprata dalla romanità. Il manager è riuscito infatti a trasformare uno dei carrozzoni più carrozzoni di Roma, e quindi d’Italia e del mondo, il Teatro dell’Opera, in un modello di produttività. Viene ricordato soprattutto come eroe della battaglia del frac, quella in cui sconfisse i sindacati interni leggendari dell’Opera che, tra le mille richieste, in un braccio di ferro degno della Thatcher coi minatori, chiedevano appunto “l’indennità di frac”, per indossare la pesante divisa, che provocava irritazione e sudore. Lui li sfidò e li vinse, trasformando il Teatro Costanzi da polo dormiente di “prime” soprattutto per un cristallizzato generone romano, in grande epicentro di spettacoli anche molto pop e internazionalmente attrattivi, come la “Traviata” coi costumi di Valentino e la regia di Sofia Coppola di cinque anni fa, che si meritò un’intera pagina sul New York Times. Oppure la serie di film-opere trasmesse in tv durante il lockdown, come “Il Barbiere di Siviglia” con regia di Mario Martone, o il “Rigoletto” di Damiano Michieletto andato in scena al Circo Massimo, spazio utilizzato anche quest’estate per gli spettacoli all’aperto.
I numeri confermano: nel 2019 gli incassi sono stati più del doppio rispetto al 2013. Le rappresentazioni sono passate da 143 a 262 in un anno. Insomma, grande successo per l’Opera che sembrava sottoposta al solito maleficio di certe imprese romane irredimibili. Invece Fuortes, statistico prestato alla lirica (con una passione per il piano e il cinema, e soprattutto il “Don Giovanni” di Joseph Losey), è riuscito nell’impresa. “Quando sono arrivato, era come l’Alitalia”, disse al Foglio. “Alto debito, perdite, conflittualità sindacale oltre il limite gestibile”. E poi Riccardo Muti che, stufo degli agguati sindacali in camerino, fuggì da un giorno all’altro. “Non ci sono ricette magiche”; ha detto in un’intervista Fuortes. “Credo che il segreto per arrivare a questi risultati sia la qualità – qualità delle produzioni e delle scelte artistiche”. Fuortes era solito pranzare in una trattoria di fronte all’Opera, che ha uno speciale spioncino nella vetrina, per controllare il pubblico che entra al Costanzi. Adesso a Viale Mazzini osservare tutto sarà più complicato: forse con un periscopio dalla sala mensa all’ottavo piano?