Il ddl Zan è lodevole nelle intenzioni ma è tecnicamente scarso e confuso
In nome del simbolismo, l'art. 4 sfida il principio di non contraddizione. La funzione del diritto penale invece parla chiaro: difendere valori non può implicare pedagogia
Toccare il ddl Zan è equiparabile a mettere le mani sui cavi dell’alta tensione e scatena spesso reazioni scomposte e irrazionali. Ma il disegno di legge, lodevolissimo per intenti, condivisibile per i valori che cerca di sostenere, risulta tecnicamente scarso e confuso emblema di un diritto penale pedagogico e simbolico. Il tema è già stato sapientemente affrontato, ma vorrei solo rimarcare alcuni aspetti invero peculiari dell’art. 4 del ddl Zan, un esempio di legislazione penale cripto-autoritaria: (Pluralismo delle idee e libertà delle scelte) 1. Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti.
Cripto-autoritaria perché seleziona ciò che ritiene lecito e consentito, vietando tutto ciò che non sia espressamente considerato tale, con un’inversione vagamente illiberale del principio, che legittima ogni stato democratico, secondo il quale devono essere selezionate solo le condotte vietate (e da punire) mentre tutto il resto delle azioni umane deve essere considerato lecito e affrancato dall’intervento dell’arsenale penalistico. L’art. 4 è, insomma, un esempio di confusione normativa e pessima tecnica legislativa. Si propone lo scopo di rendere lecito (fatte salve le condotte: espressione invero peculiare) con una norma di legge ordinaria la libertà di manifestazione del pensiero che la Costituzione, fonte gerarchica sovraordinata, all’art. 21 prevede come diritto inalienabile dal giorno della sua entrata in vigore. Tale diritto, espressione della libertà, trova già attuazione codificata come causa di giustificazione nell’art. 51 c.p.: l’esercizio di un diritto.
Il pleonasmo giuridico è evidente se si rovescia il ragionamento: se non entrasse in vigore l’art. 4 (tautologico e ridondante) la libera espressione di convincimenti od opinioni sarebbe comunque lecita e consentita per l’art. 51 del codice penale e, soprattutto, per il principio di non contraddizione che non può consentire la punizione di ciò che è considerato lecito in altra parte dell’ordinamento, oltre tutto dalla Carta Fondamentale. Inoltre, parrebbe vulnerato il principio di precisione (garantito dalla Costituzione all’art. 25 come corollario del principio di legalità) in quanto sarebbero legittime (sempre nella prospettiva rovesciata dell’individuare espressamente ciò che non sarebbe vietato) le condotte riconducibili al pluralismo delle idee e alla libertà delle scelte. Le paludi del pensiero: il pluralismo delle idee.
E ancora: cosa significa legittimare la libertà delle scelte attraverso una norma che introduce una nuova (inutile) causa di giustificazione? Forse senza l’art. 4 la libertà delle scelte sarebbe vietata? Non sembri un sofisma, un mero artificio retorico, in quanto è solo lo sviluppo logico di una previsione normativa bislacca. Un’ultima riflessione sulla parte conclusiva della norma. La libera manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita e presidiata, deve sempre trovare bilanciamento con altri diritti fondamentali, altrettanto garantiti e presidiati dalla Carta Costituzionale: dignità della persona, uguaglianza ecc. Inoltre, 91 anni di giurisprudenza e di letteratura penale hanno perimetrato la condotta di istigazione accolta a commettere un reato: tale condotta rientra nell’istituto del concorso di persone nel reato ex art. 110 del codice penale fin dal 1930.
Resta il tema dell’utilizzo simbolico e promozionale del diritto penale, che non deve avere come funzione la promozione di valori, ma la tutela e difesa di valori (rectius beni giuridici). Il diritto penale promozionale e simbolico può generare mostri come il sonno della Ragione. L’argomento è densissimo, arato per decenni soprattutto dai doctores del diritto penale tedesco e anglosassone e negli ultimi anni da attenta dottrina italiana. Un conto è la promozione alla lotta contro ogni forma di discriminazione attraverso strumenti di crescita socio-culturale, a partire dalle famiglie e poi dalle scuole (l’ordine non è casuale), un altro (da evitare) è utilizzare il diritto penale come promozione di valori. Il Parlamento saprà intervenire riportando il testo del ddl Zan al rispetto dei princìpi dell’ordinamento giuridico penalistico e della miglior tecnica della legislazione penale.