il caos nel m5s

Conte sorride, ma finisce imbrigliato nella rete di Grillo e Di Maio

La montagna della mediazione a cinque stelle partorisce il topolino. Nel "nuovo" M5s rispunta anche il Comitato di garanzia. L'asse tra il comico e il ministr degli Esteri

Valerio Valentini

L'ex premier ottiene il titolo di "presidente" e la titolarità esclusiva dell'azione politica del M5s. Ma il Garante resta centrale (e silente), e nel nuovo statuto riemergono anche i vecchi organi. La diplomazia parallela del ministro degli Esteri: "Dal governo non si esce"

Alla fine, per dirla con le parole di uno dei negoziatori, “è nato il topolino”. La montagna della grande mediazione a cinque stelle lo ha partorito sotto forma di cambio di attribuzione e di una specifica che, al momento, decisiva lo appare solo nella forma. Perché sì, insomma Giuseppe Conte ottiene per sé l’epiteto di “Presidente”, più istituzionale rispetto a quello di “capo politico”, e soprattutto si garantisce che a lui solo venga affidata la “titolarità esclusiva dell’azione politica”. E però, a controbilanciare questa parziale vittoria, resta l’ingombro della figura del Garante, quel Beppe Grillo che conserva intatta la sua centralità nelle gerarchie del Movimento.

 

Perché, rispetto alla bozza di statuto redatta dall’ex premier coi suoi legali, quello su cui domenica si è trovata un’intesa tra Conte e Grillo è un sostanziale ritorno al passato. Il Garante conserva infatti quasi tutte le prerogative che gli erano proprie, e dalle ceneri del fuoco fatuo del “nuovo M5s” riemergono anche organi che sembravano dover essere superati. Ecco allora la riesumazione del “Comitato di garanzia”, ovvero la triade che tiene le redini della macchina organizzativa e burocratica del partito, quella cioè da cui è emersa la leadership di Vito Crimi, transeunte quanto si vuole ma pur sempre decisiva, in quest’anno e mezzo di tribolazione infinita del grillismo. Spetta dunque al Comitato di garanzia vigilare sulle candidature, stabilire le regole per la presentazione delle liste, comminare sanzioni e ratificare provvedimenti disciplinari. E soprattutto, resta il Comitato di garanzia l’organo di diretta emanazione del Garante, che continuerà a indicare una rosa ristretta di candidati da cui individuare i tre componenti tramite votazione online. Il che, se si pensa che tra i poteri del Comitato c’è quello di avviare le procedure di sfiducia all’indirizzo dello stesso “presidente”, dà il senso di un ordine delle gerarchie che forse, come ripete Conte, non prefigura una diarchia, ma che è ben lontano dalla sua idea di “costruire una guida politica che sia al riparo da ingerenze esterne”.

 

Perché poi, al di là dei codici e dei commi dei nuovi regolamenti, quello che emerge dalla trattativa conclusasi è la persistente invadenza di Grillo: che mantenendo inalterata la sua immagine di “custode dei valori” del M5s, persevererà nella sua tendenza a intervenire, dettare cambi di rotta, dispensare benedizioni e condanne. Come quell’anatema scagliato addosso all’avvocato di Volturara due settimane fa e che sta ancora lì, in apertura del SacroBlog del comico (che sull’accordo trovato invece non proferisce verbo), a ricordare chi comanda al di là di ogni codicillo, chi è può stabilire che il leader in pectore è privo “di visione politica e capacità manageriali”, e tuttavia concedere che sì, è lui che può diventare, bellezza delle aporie grilline, il “titolare dell’azione politica” del M5s.

 

Un risultato che per Conte ha il sapore agrodolce del compromesso, del minimo sindacale a cui bisogna appellarci con buono sfoggio di dissimulazione, dicendosi insomma “pienamente soddisfatto dell’accordo raggiunto con Beppe Grillo”. C’ha pensato, in verità, allo strappo. E più ancora dell’ex premier, c’ha pensato chi gli sta attorno e lo consiglia: ribaltare il tavolo, ritrarsi sdegnato dalla mediazione e dedicarsi a una “cosa nuova”. Prima però di acconciarsi alla tregua armata.

 

Che s’è concretizzata, in verità, lungo l’asse che lega il comico genovese a Luigi Di Maio. Non a caso già giovedì scorso il ministro degli Esteri suggeriva ai suoi fedelissimi di tenere bassi i toni, anche quando le sue sentinelle gli segnalavano degli strani movimenti nelle truppe degli adepti: gente come Massimo Castaldo, vicepresidente del Parlamento europeo convinto dalla sua grande amica Paola Taverna a sposare i toni del contismo più intransigente, o deputati un tempo di provata fede dimaiana, come Luigi Gubitosa, che scantonavano verso la pattuglia dell’ex premier. “Tranquilli ché tanto l’intesa si concretizzerà nel fine settimana”, ripeteva Di Maio predicando cautela. Ed stato sempre lui a garantire, a Palazzo Chigi così come al grande tessitore del Pd Dario Franceschini, che no, di colpi di testa grillini sulla via dello strappo con Mario Draghi, la tentazione dell’opposizione o dell’appoggio esterno, non era aria. E neppure sulla riforma della prescrizione gli sfracelli annunciati sembrano destinati a produrre scossoni. Certo, c’è da gestire il risentimento di Alfonso Bonafede che si trascina dietro la commissione Giustizia di Montecitorio. Ma se perfino Stefano Patuanelli all’assemblea congiunta di domenica ha ribadito ai parlamentari che di margini per stravolgere il testo uscito dal Cdm non ce ne potranno essere. E quando Federico D’Incà ha rimproverato deputati e senatori per quei loro attacchi su Facebook, per la bulimia di like e visibilità sui social, è sembrato farlo con l’aria di chi vuole bloccare sul nascere una strategia della tensione che in tanti riconducono al rinnovato attivismo di Rocco Casalino. 
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.