la Lega alla prova "vax"
L'errore di Salvini su vaccini e green pass. Parla Roberto Maroni
L'elemento anti Macron a prescindere (in chiave lepenista?) e la preoccupazione per l'assenza di visione. Parla l'ex ministro e governatore
"Bossi guardava lontano. Qui c'è solo tattica. Ma non a caso sul territorio non si ragiona cosi". dice Maroni. Intanto Salvini vuole riaprire le discoteche ma ribadisce il no "al modello francese".
“Un errore, purtroppo è un errore”. Lo dice Roberto Maroni, che la Lega la conosce bene (da ex ministro, ex governatore ed ex segretario federale), a proposito del Matteo Salvini che su vaccini e green pass fa il timido, per non dire il freddo, forse per tenere buona la parte di elettorato no vax o dubbiosa. “Penso che sull’estensione del green pass abbia ragione il presidente francese Emmanuel Macron, e anche i governatori italiani che si sono espressi a favore della linea Macron, come Giovanni Toti”, dice Maroni.
E sottolinea, l’ex ministro e governatore, che il contenimento del contagio e la tutela della salute non contrasterebbero, in quel modo, con la ripresa di attività e socialità: “Non ci vedo nulla di male, è una misura di sicurezza ragionevole, visti i contagi e vista la necessità di evitare una quarta ondata, avendo ora gli strumenti per farlo”. E però Salvini, che con la Lega è al governo, deve anche guardarsi dalla concorrenza a destra, e precisamente da quella della leader di FdI Giorgia Meloni, che dall’opposizione ha usato una parola ormai abusata come “orwelliano” per definire il provvedimento francese. Ma quando si chiede a Maroni se lo scetticismo salviniano sul green pass sia una strategia, Maroni strabuzza metaforicamente gli occhi: “Strategia? Se c’è non si vede. Umberto Bossi, stratega per eccellenza, aveva una visione. Usava me come tattico, sì, ma si capiva che guardava lontano. E io non voglio certo parlare male di Salvini, però insomma, qui la tattica rischia di sconfinare nell’assenza di progetto per il domani della Lega. Non a caso i governatori sul territorio non ragionano così”. Potrebbe esserci anche un elemento anti macroniano a prescindere, dice Maroni: “Salvini quando pensa alla Francia pensa alla Le Pen, e l’anno prossimo ci sono le presidenziali. Ma ripeto: sbaglia a mettersi su questa china”. Il fatto è che Salvini sulla china dell’ambivalenza vaccinale non ci si è messo da oggi, anzi. Era febbraio e il leader della Lega, a campagna appena iniziata, cominciava a nicchiare: “Fare il vaccino anti Covid? Quando toccherà a me chiederò al mio medico”. E poi, via via che passavano i mesi, arrivando fino a giugno: “Il vaccino? Dovevo farlo ieri, ma ero impegnato. Quando mi chiamano vado”. O anche: “Non salto la fila, aspetto il mio turno”. Infine due giorni fa, dopo aver incontrato il premier Mario Draghi: “Dal mio punto di vista niente modello francese”, diceva Salvini: “Non devi tirar fuori siringa e tampone per andare a mangiare una pizza. Il vaccino deve essere una scelta consapevole, non un obbligo. Poi se ci sono eventi particolarmente affollati ci può essere una sacrosanta richiesta di controlli”. E però il governo, di cui la Lega appunto fa parte, sembra orientato a un “uso esteso” del green pass, seppure non con totale aderenza allo schema macroniano, come ha fatto capire il ministro per gli Affari regionali Maria Stella Gelmini. E allora perché Salvini, visto che anche a destra la via francese al contenimento del virus piace, non si mostra meno freddo su vaccini e green pass, mentre chiede di riaprire le discoteche? Maroni sospira, non dice altro.