Draghi nel rebus del green pass. Le incognite su sport e ristoranti. E poi c'è la Privacy
Vezzali contro Speranza, che non ha più il Cts dalla sua parte. Il dubbio sul campionato e sul Gp di Monza. E poi le tensioni con Confindustria e sui trasporti. Obbligo del certificato per chi mangia al chiuso. E intanto il Garante minaccia battaglia. Specie la vicepresidente filoleghista
Si fa presto a dire “all’italiana”. Per ora, tutto ciò che è dato di capire, sul green pass nostrano, è che sarà meno restrittivo di quello adottato in Francia. Italians do it better, o forse no? Il dubbio comincia a circolare: perché, mano a mano che si affrontano i vari aspetti del certificato vaccinale, il rebus si complica e si ingarbuglia. I ministeri bisticciano tra loro, il Cts rivendica una sua inedita (o quasi) autonomia di giudizio rispetto ai valori del ministero della Salute, e a Palazzo Chigi aleggia l’ombra del più sfuggente dei censori: il Garante per la privacy.
Di certo, per ora, c’è solo che si farà. Mario Draghi ha fretta: non vuole vedere che la curva dei contagi torni a salire, prima di dover agire, e vuole anche evitare che, dum Romae consulitur, le regioni inizino a fare di testa propria. E dunque mercoledì la cabina di regia, e subito dopo il Cdm, si riuniranno per definire i dettagli sull’adoazione del green pass. Una questione su cui il premier ha chiesto a tutti la massima responsabilità, se è vero che anche Matteo Salvini, che pure recita la parte dello scettico, uscendo dall’incontro con Draghi, mercoledì mattina, ai suoi ha lasciato intendere che no, è inutile protestare contro una misura che “rischia di essere inevitabile”.
Semmai insomma c’è da discutere del come. Sul fatto che servirà per autorizzare l’ingresso a spettacoli e grandi eventi, tutti sembrano d’accordo. Roberto Speranza, però, ci mette comme il faut un sovrappiù di zelo: e così se la sottosegretaria allo Sport Valentina Vezzali auspica una riapertura sostanziale (almeno del 50 per cento) degli stadi di calcio, sia pure ai soli vaccinati, il responsabile della Salute si batte perché si mantenga il limite del 25 per cento di capienza, indipendentemente dal tipo di evento. Il che, se si pensa che nel frattempo gli organizzatore del Gran Premio di Monza preme per avere già ora un’autorizzazione a sopprimere ogni limitazione in vista di metà settembre, e se si considera che intanto il Cts risponde sempre meno ai desiderata di Speranza da quando al suo capo di gabinetto è stata vietata la partecipazione alle riunioni, spiega il caos in cui ci si muove. Che poi è lo stesso che riguarda i ristoranti. Perché, se è vero che non sarà così stringente come in Francia, l’obbligo del certificato vaccinale potrebbe in effetti essere esteso ai locali dove si mangia al chiuso, demandando ai titolari l’obbligo di verificare all’ingresso.
Nel frattempo, Confindustria manda dispacci al governo affinché anche negli stabilimenti industriali si imponga il pass, nicchiando però sulla controproposta che arriva da Chigi, e cioè che allora siano i datori di lavoro a garantire tamponi gratuiti per i dipendenti. Vincolo che invece non dovrebbe esserci per la scuola, dove davvero l’obbligo del certificato per docenti e bidelli pare assai probabile. Sapendo che la questione educativa si lega a quella dei trasporti. Dove, in linea di principio, il discrimine è chiaro: green pass obbligatorio per i viaggi a lunga percorrenza, non per la mobilità locale. Ma come definire un confine chiaro, se in tante città lavoratori e studenti passano sui bus un’ora e più?
Senza contare che poi, quando tutti i dubbi saranno sciolti, occorrerà fronteggiare le resistenze del Garante della privacy. Che a fine maggio aveva già censurato un’ordinanza della Campania colpevole di aver promosso il green pass a “condizione necessaria per la fruizione di innumerevoli servizi (turistici, alberghieri, di trasporti e spettacoli)”. Insomma, quel che il governo vuole fare ora. A Palazzo Chigi sono convinti che, dando una base giuridica più solida a simili decisioni, attraverso un decreto, le obiezioni dovrebbero decadere. Se non fosse che tre giorni fa Ginevra Cerrina Feroni, vicepresidente del Garante voluta da quel Salvini che ancora rinuncia a vaccinarsi, ha twittato così: “Il green pass in salsa francese è costituzionalmente irricevibile”. Spetta a Draghi, allora, trovare una salsa giusta. All’italiana.