La recensione
Emanuele Macaluso, una vita di calli e di baci
La biografia-romanzo dell'ultimo compagno. Il Pd dovrebbe dedicargli una delle sue piattaforme ...
Disobbediente, innamorato e arrestato per adulterio. Concetto Vecchio racconta Macaluso e il Pci. La storia del partito dovrebbe iniziare dalla sua camera da letto di Caltanissetta
Apritelo e andate subito a pagina 45. Ci sono tre righe che avrebbe voluto scrivere Cesare Pavese e che valgono mezzo scaffale chiamato “letteratura della resistenza”. Fossimo noi, faremmo cominciare la storia del Pci da questa camera da letto di Caltanissetta. La faremmo iniziare dalle lenzuola de “L’ultimo Compagno. Emanuele Macaluso, il romanzo di una vita” di Concetto Vecchio (Chiarelettere). Al posto della falce sceglieremmo dunque il bicchiere sul comodino della coppia “non si può”, Emanuele e Lina, “sorpresi dagli agenti di questo ufficio presso la locanda Italia e dichiarati in arresto”.
Al posto del martello il cuscino stropicciato dai troppi baci da nascondere e dalla domanda angoscia: ci ammazzeranno i tedeschi o gli americani per errore? C’è infatti più comunismo in questa frase che in tutti i congressi, in tutte le scissioni e le svolte, tutto quel tormento da compagni, addio. Uffa! La frase è questa: “Quando, nel pomeriggio del 9 luglio 1943, gli alleati bombardarono, io mi trovavo nel letto di Lina”. E significa che dovrebbe ribellarsi per prima la sinistra quando sente raccontare la sua storia come l’avanzata di un gruppo di professionisti della rivoluzione, un ordine di fedayyin che non aveva tempo per amarsi per non inceppare l’orologio di Stalin.
Macaluso, ad esempio, che del Pci è stato “l’ultimo dirigente”, non ha mai pensato di sostituire Lina con Lenin, non ha mai creduto che la battaglia contro il latifondo fosse inconciliabile con il valzer e il baffo malandrino, il corteggiamento e il “provò a baciarmi”. Lina era una donna già sposata, con due figli, più adulta, in una parola, “ci amammo”. Finirono in carcere entrambi per adulterio. La denuncia del marito di lei (su pressione fasciste) la prima casa insieme, ma per compassione (con il cesso alla turca) appartengono alla sfera dei ricordi così come il processo politico del Pci a cui Macaluso si dovette sottoporre. Anna Tonelli, pochi anni fa, scrisse un libro documentatissimo sugli amori “irregolari” dei comunisti. Nel libro di Vecchio c’è però qualcosa di cui finora solo Macaluso non si è mai vergognato. Il piacere del sesso, quel prendersi gioco della malasorte e rimandare la rivoluzione a dopo l’amplesso. C’è nell’avvicinarsi di Vecchio, che è la firma politica di Repubblica, la più identitaria, la sottomissione di chi si avvicina al monumento e ne esce liberato dal pregiudizio perché, scrive l’autore, “quando ero ragazzo, i Macaluso non mi piacevano”. E’ lo stesso pregiudizio che ha sempre eccitato Macaluso: “il migliorismo”, il “milazzismo”, l’altro amore, ma aristocratico (un altro schiaffo al partito) niente meno che “una nobile dei principi di Pandolfina” come Ninni Monroy.
E poi, la direzione dell’Unità, la più ariosa e la meno corriva di tutte le direzioni. Sorprende solo che il Pd non abbia (ancora) dedicato una piattaforma (digitale?) a Macaluso che ha scritto fino alla sua morte perché “un uomo politico che non scrive è un politico dimezzato”. Ripeteva “io i giornali li compro e li leggo”. Non aveva paura delle interviste perché le sue risposte erano sempre più intelligenti delle domande. Non è una biografia e andrebbe catalogata nel genere romanzi. Un romanzo di calli e di cosce, di zolfo e di vino.