La pace di Conte con Draghi su giustizia e ambiente crea un cortocircuito nel M5s
Quaranta minuti scarsi di colloquio che servono all'avvocato di Volturara per vedersi riconosciuto il suo ruolo di leader. Ma i grillini che avevano creduto nella svolta barricadera ora mugugnano e preparano emendamenti sulla riforma della giustizia
Il fu avvocato del popolo rinuncia alla guerra su prescrizione e Cingolani: gli estremisti del grillismo non gradiscono. Domani l'assemblea coi parlamentari. Lo stupore della Cartabia per la svolta di Letta, che convoca le capogruppo. I dubbi dei ministri dem
Alla fine l’incontro che doveva cambiare il corso degli eventi lascia tutto come stava. E così la vittoria che Giuseppe Conte rivendica nel resoconto che offre ai suoi fedelissimi (“Il premier non ha completamente escluso la possibilità di piccole modifiche”), non è altro che un ribadire quel che nel verbale del Cdm dell’8 luglio era già stato messo nero su bianco: e cioè un’approvazione unanime del disegno di riforma della giustizia penale fatta salva la possibilità di apportare “miglioramenti tecnici” in sede parlamentare. Richiesta espressa allora dai quattro ministri grillini, e ricalcata con geometrica precisione dai colleghi di Forza Italia. E questo spiega come mai, a Palazzo Chigi come a Via Arenula, semmai la sorpresa sia riservata per la strambata di Enrico Letta. Perché i tre ministri del Pd erano stati gli unici a non esprimere riserve, e anzi a rivendicare come frutto delle mediazioni del Nazareno la soluzione proposta dalla Cartabia. Salvo poi, evidentemente, ricredersi.
Il che, visto con gli occhi di chi si confronta con la Cartabia, ha dell’inverosimile. Perché sarà pur vero, come ha spiegato ai suoi colleghi più scettici il dem Alfredo Bazoli, che “le nostre sono solo modifiche puntuali che servono a evitare la crisi di governo”, ma come hanno notato coi rispettivi confidenti sia Dario Franceschini sia Lorenzo Guerini, al di là dei tecnicismi c’è la politica. E quella seguita da Letta - più o meno consapevolmente, lo capiranno le due capogruppo convocate domattina al Nazareno - è una politica che porta a convalidare la strategia della guerriglia che Alfonso Bonafede giorni fa annunciava agli emissari di Via Arenula: “Noi presenteremo i nostri emendamenti, e se il centrodestra farà altrettanto tanto meglio: scatterà il Vietnam”.
E insomma intorno alla supposta ansia da picconatore di Conte s’è creato un grande equivoco che ha innescato un processo che ora potrebbe sfuggire di mano anche al leader del M5s. Perché nei quaranta minuti scarsi di colloquio Draghi, il fu avvocato del popolo ha mostrato toni accomodanti. “Quelli che gli sono propri”, precisa chi gli è più vicino. Ma se il premier non ha dovuto neppure chiarire, come forse temeva, i pregressi di un rapporto che è sempre stato complicato, sulla gestione delle nomine dei Servizi e in Cdp, è stato perché Conte è tornato a Palazzo Chigi con uno scopo fondamentale: ottenere dal premier quel riconoscimento da leader che il suo stesso Movimento fatica a riconoscergli definitivamente da mesi.
E così lui, convocato dal premier come tutti gli altri segretari di partito della maggioranza, sfrutta il prestigio che gliene deriva per disinnescare le tensioni accumulate. Parla di un M5s disposto a “un atteggiamento costruttivo” sulla prescrizione, benché risoluto nello scongiurare la creazione di “sacche di impunità”. Recepisce l’irritazione di Draghi sul logoramento grillino ai danni di Roberto Cingolani, e s’affretta a ribadire la “nostra fiducia” al ministro della Transizione ecologica. E insomma finisce per tradire le attese delle frange integraliste del M5s che alla stagione barricadera dell’avvocato con la pochette c’avevano creduto davvero. Per cui i deputati che s’erano svegliati con la voglia d’allestire un blitz in commissione Ambiente per mandare sotto il governo in almeno sui venti emendamenti accantonati al dl “Semplificazioni” restano come tramortiti: “Queste parole di Conte su Cingolani ci lasciano perplessi”. Figurarsi allora quelli della commissione Giustizia, che attendevano un segnale di guerra che invece non è arrivato e ora si ritrovano lì, con una caterva di emendamenti alla proposta Cartabia che non vogliono ritirare. A convincerli a desistere ci proverà forse lo stesso Conte, che per domani sera ha convocato un’assemblea di deputati e senatori.