Genova, romanzo di formazione
Dal grillismo a Renzi. Quel che è stato dei no global dopo Genova
Che fine ha fatto il popolo disperso di Seattle? C'è chi le battaglie altromondiste le ha ritrovate nel M5s e chi invece proprio nel populismo vede la fine di quel fermento. Giovanni Favia, ex grillino rinnegato. Gennaro Migliore, da Rifondazione a Iv. Entrambi in piazza, in quei gironi di 20 anni fa. Due testimonianze a confronto
Ottimisti e inquieti. Lungimiranti, ma pure ingenui. Pieni di dubbi oppure ben sicuri sul da dirsi e sul da farsi. In una parola: giovani. Quando, nel luglio 2001, centinaia di migliaia di persone si diedero appuntamento agli stati generali della sinistra, convocati in occasione del G8 in programma a Genova, i veri protagonisti furono ragazzi e ragazze. Arrivarono da tutta Italia e da tutta Europa per dettare l’agenda agli otto grandi del mondo. “Per quella generazione, l’affermazione del modello politico-economico delle liberal-democrazie ad economia di libero mercato si tradusse, in concreto, in un vuoto di senso” spiega Massimo Palma, storico e saggista autore del saggio “Happy Diaz”, edito da Castevelcchi. “Durante gli anni Novanta, i giovani sperimentarono la conoscenza di e la solidarietà verso realtà altre rispetto a quelle costruite secondo il modello occidentale”.
Seguire le traiettorie, spesso imprevedibili, delle loro vicende personali può aiutare ad uscire dal vicolo cieco della memoria in cui ci si caccia quando si ritorna a quei giorni, alle violenze di piazza e agli scontri per i vicoli di Genova. Dove sono oggi? Quale posto hanno trovato nel mondo che intendevano cambiare? Cosa raccontano i loro ricordi? “Dopo Genova, per me, è finito tutto – racconta Giovanni Favia al Foglio –, anzi, forse anche prima”. Strano, perché, almeno nel suo caso, grillino avanguardista e poi rinnegato, i contro-vertici ai summit internazionali d’inizio secolo coincidono, invece, con l’inizio di un intenso attivismo. “Avevo vent’anni esatti, ero un giovane spericolato, non appartenevo ad alcun partito – ricorda – e rimasi affascinato dal popolo di Seattle. Il colore delle tute bianche voleva rappresentare l’invisibilità di una generazione. Quell’incollocabilità durò poco, perché le gerarchie della sinistra arrivarono subito ad appropriarsi delle proteste, un’operazione che mi deluse molto”. In effetti, per testimoniare la propria vicinanza alla galassia altromondista, l’estrema sinistra – Verdi, Pdci e soprattutto Rifondazione comunista – portò in Parlamento, durante la quindicesima legislatura, diversi protagonisti di quei giorni. Eppure, ciò non impedì il declino di quell’area e la comparsa, sulla scena, di nuovi soggetti politici. “Tanti tra quei rivoluzionari hanno approfittato di Genova per inaugurare o proseguire splendide carriere e anni più tardi, abbandonati dalla sinistra, i temi cari ai no global sono entrati nella propaganda delle destre di tutto il mondo”, prosegue l’ex grillino, che dopo l'addio alla politica ha trovato fortuna nella ristorazione.
L’onda lunga di quei giorni porterà Favia a candidarsi prima a sindaco di Bologna nel 2009 e poi a presidente dell’Emilia Romagna nel 2012, in entrambe le tornate elettorali sotto il simbolo del Movimento 5 Stelle. Da cui venne in seguito espulso per questioni d’incompatibilità con il fondatore, di cui riconosce le capacità visionarie: “Nessuno ha più saputo criticare in modo democratico e radicale il sistema economico, provando ad immaginare e creare un altro mondo possibile, anche con l’aiuto della rete. Tranne forse i meet-up: un tentativo, anche questo, presto tradito”.
A rispondergli, indirettamente, è Gennaro Migliore: “No, Genova non è stata la fine di tutto se non, magari, per chi ne è convinto: è stato un momento di passaggio”, ci dice il deputato di Italia viva. Anche lui si trovava nel capoluogo ligure, “da segretario della federazione provinciale comunista di Napoli: all’epoca avevo trentatré anni”. Di quei giorni non può dimenticare “la ricca, colorata e partecipatissima giornata del 19 luglio, dedicata all’antirazzismo” e le prime scorribande del black bloc alla vigilia del vertice; i violenti scontri del 20 luglio e la decisione del Genoa Social Forum di consegnare al Tg2 il video della sparatoria in piazza Alimonda in cui perse la vita Carlo Giuliani, “invece di presentarlo in conferenza stampa, rischiando di esasperare ancora di più gli animi”; il corteo del 21 luglio, “durante il quale feci da spola tra la testa, dove erano presenti i leader politici, e la coda, occupata dai disobbedienti”, prima che una carica lo spezzasse in due e desse luogo a ulteriori disordini; e il blitz alla scuola Diaz, “dal quale mi sono salvato per miracolo: mi trovavo proprio lì poco prima di andare in stazione, a Brignole, a trattare la partenza dalla città di un treno carico di manifestanti”.
L’ex deputato di Rifondazione rifiuta il pessimismo sul futuro dei movimenti sociali. La contrarietà alla guerra in Iraq, Occupy Wall Street negli Stati Uniti e gli indignados in Europa, per ultimi i Fridays for future: nel tempo, spiega Migliore, la critica verso cause ed effetti del modello di sviluppo ha trovato modo di riorganizzarsi, solo “meno in anticipo, su specifiche questioni e, a livello intellettuale, in maniera più povera rispetto ai predecessori”. Del resto, da certi passaggi è raro uscire indenni: “Se le operazioni di polizia liquidarono quel movimento dal punto di vista fisico, il populismo lo eliminò dal punto di vista culturale”. Insomma, in un solo aspetto Genova può essere considerata irripetibile: “Nella repressione sistematica, pianificata e realizzata nel dettaglio, di un movimento di protesta”.