Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Senato sfasciato: aumenti a pioggia per i dipendenti e niente concorsi. Casellati dice che non sapeva

Salvatore Merlo

Con l'applicazione integrale della legge Fornero anche ai funzionari, si "fossilizza" l'assetto attuale del Senato: vecchio e inefficiente. Ma sulla bozza siglata dal vicepresidente Calderoli è mistero

Come rivelato dal Foglio sabato scorso, il 6 luglio il Senato ha siglato con i sindacati interni una bozza di nuovo contratto che prevede – dopo dieci anni dall’approvazione della legge per il resto degli italiani  – l’applicazione integrale della legge Fornero anche ai funzionari e ai dipendenti del Senato. I quali, come tutti gli altri cittadini ma a distanza di dieci anni dall’entrata in vigore della riforma, andranno così in pensione a 67 anni. A fronte del “sacrificio” vengono tuttavia garantiti enormi aumenti salariali (in alcuni casi di circa il 5 per cento annuo). Inoltre nella bozza di contratto, all’articolo 4, vengono implicitamente bloccati i concorsi programmati che avrebbero dovuto svecchiare un’amministrazione in età già estremamente avanzata e spesso a disagio con i moderni strumenti di lavoro digitale.

 

Si legge infatti, nella bozza di accordo, che verranno portati a termine solo i concorsi già avviati, quelli per i livelli più bassi (operai e commessi). Ma non si svolgeranno invece i concorsi programmati per i livelli più alti, quelli di funzionari e dirigenti, assistenti e consiglieri parlamentari. Insomma non vengono confermati i concorsi riservati a quelle categorie che più di tutte qualificano l’amministrazione parlamentare. Di fatto, in una amministrazione del Senato già ridotta all’osso (580 unità a fronte di una pianta organica di 969) si “fossilizza” l’assetto attuale. Età media circa 50 anni. E invece di utilizzare le scarse risorse di bilancio per assumere nuove leve, capaci di apportare rinnovamento anche nel senso della digitalizzazione (che al Senato è a un livello preistorico), si sceglie al contrario, in assoluta controtendenza rispetto all’esterno, di coprire d’oro i dipendenti in servizio. E mantenere tutto com’è. Inefficiente. Vecchio.

 

Si tratta di una scelta miope, che non guarda al futuro e che smentisce quanto accade al di fuori del Senato, dove lo sforzo di rinnovamento della Pa sta prendendo forma con le riforme di Renato Brunetta. Una scelta, inoltre, che utilizza risorse pubbliche per “comprare” il consenso dei dipendenti in favore di un disegno apparentemente incomprensibile (malgrado qualche malizioso sostenga che il disegno politico sia chiarissimo: sguarnire l’amministrazione del Senato, dissanguare il bilancio, per poi consentire ai politici delle assunzioni di personale di fiducia a chiamata). Chissà. A questo proposito, sabato pomeriggio, l’ufficio stampa del presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati ha fatto sapere al Foglio che Casellati non era a conoscenza del contenuto della bozza di accordo siglata dal suo vicepresidente Roberto Calderoli. Tutto qua. Nemmeno una parola in più. Non era a conoscenza ma è d’accordo? Non era a conoscenza e adesso interverrà? Mistero. Cosa pensa il presidente del Senato di un fatto così rilevante che riguarda il futuro, i compiti e l’efficienza di una istituzione di cui ha (pro tempore) la responsabilità?

 

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.