Stretta sulle scuole e vaccini porta a porta. L'ultimo miglio: parla Figliuolo
Scuola, giovani, vaccini porta a porta. “Per uscire dalla pandemia c'è solo una soluzione: immunizzare il più alto numero di persone, il prima possibile”
“Entro il venti agosto sapremo chi non è si vaccinato nelle scuole. La campagna ora deve diventare più capillare e vicina alla gente. E senza uno slancio il rischio di fermarci c’è”. Intervista al generale
È l’ultimo miglio, dice il generale Francesco Paolo Figliuolo, e non si può far finta che il momento non sia quello decisivo. Dalle prossime settimane, dal modo in cui la campagna vaccinale verrà organizzata, implementata e adattata alla nuova fase della pandemia, dipenderà il futuro dell’estate, il destino dell’economia, la traiettoria del rimbalzo, l’incremento della crescita, il ritorno a scuola e dipenderà anche la capacità che avrà il nostro paese di fare i conti con quella che il presidente americano Joe Biden ha definito in modo azzeccato una nuova pandemia: quella dei non vaccinati. Quando si parla di strategie relative alle campagne vaccinali, il verbo più abusato è uno e sempre uno ed è “accelerare”. Nella fase in cui ci troviamo oggi, però, dire semplicemente “accelerare” non basta più, perché il problema non è più la velocità di crociera: è la direzione della nave. Dalla stagione del “quanto” siamo dunque passati alla stagione del come, di come trovare i non vaccinati, di come convincerli, di come incentivarli, e la nostra conversazione con il commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento dell’emergenza Covid-19 parte proprio da qui. Che fare nell’ultimo miglio, per non sprecare tempo e per dribblare i capricci della politica.
Generale, può spiegare per quale ragione, per proteggere il paese dal virus, è fondamentale che a vaccinarsi siano anche i giovani, che pure rischierebbero poco in caso da infezione da Covid-19?
“La protezione dagli effetti nefasti del Covid-19 passa attraverso una campagna di vaccinazione che sia la più inclusiva possibile, il cui obiettivo è di vaccinare l’80 per cento dei cittadini di età superiore ai 12 anni. Naturalmente vanno protetti prima i più vulnerabili, vale a dire le persone anziane e quelle fragili, queste ultime indipendentemente dall’età. La campagna si sta gradualmente orientando verso i più giovani, che pur essendo relativamente meno esposti alle conseguenze del contagio possono largamente diffondere il virus e vanno comunque vaccinati. All’inizio della campagna le fasce di età inferiori o uguali ai 16 anni non potevano essere vaccinate. Infatti solo il vaccino Pfizer ha ottenuto l’autorizzazione e nei prossimi giorni l’otterrà anche Moderna (ieri in effetti Ema ha approvato il vaccino Moderna anche nella fascia tra i 12 e i 17 anni, ndr). Conseguentemente, la platea vaccinale originaria è stata ampliata alla fascia di età 12-15 anni, pari a circa 2,3 milioni di individui. Con una mia lettera del 3 giugno 2021, chiedevo quindi alle regioni e alla Pubblica amministrazione di dare attuazione alle indicazioni terapeutiche dell’Aifa, utilizzando linee dedicate negli hub vaccinali e facendo il più ampio ricorso ai pediatri di libera scelta. Si è compiuta così un’ulteriore e fondamentale tappa per la limitazione della diffusione del virus, che in quella popolazione circola anche in modo cosiddetto paucisintomatico o asintomatico, rendendo difficile l’adozione di misure di contenimento dell’infezione, aumentando però l’insorgenza di varianti”.
Settimane fa, a fine giugno, lei ha detto che avrebbe fatto di tutto per coordinare al meglio il lavoro con le regioni per vaccinare gli over 60 ancora scoperti. Eppure, a due settimane da quell’annuncio, gli over 60 non ancora vaccinati sono circa 2,3 milioni. In America, il presidente Biden ha deciso di usare la tecnica casa per casa per andare a convincere gli indecisi. E’ quello che farete anche voi? E in che modo le Asl possono aiutarci a rintracciare gli scettici?
“L’attuale sistema si basa principalmente sui grandi hub, che permettono un afflusso importante di persone e concentrano le risorse in termini di medici, infermieri e personale amministrativo. Le visite regione per regione, e gli incontri con i presidenti, mi hanno poi permesso di verificare di persona le strutture e le diverse esigenze in relazione alle caratteristiche dei singoli territori, alle vie di comunicazione e alle diverse sensibilità delle comunità locali. Nelle prime regioni visitate, Calabria e Sicilia, è subito emerso che i grandi hub erano distanti e difficilmente raggiungibili da alcune località. Grazie alla pronta disponibilità del ministro della Difesa, abbiamo complessivamente costituito in dieci regioni italiane oltre cinquanta team sanitari mobili, composti da un medico e due infermieri, per operare, in maniera integrata con i team mobili delle Asl, nei comuni e nelle frazioni più remote o impervie”.
“Si è avviato un processo capillare di somministrazione porta a porta, che, grazie anche al supporto della Protezione civile e dall’associazionismo, ha consentito di fare finora circa centomila somministrazioni, e anche di guadagnarsi la fiducia dei cittadini. Il sistema lo abbiamo successivamente replicato per immunizzare completamente quarantamila cittadini residenti nelle isole minori, oltre agli abitanti dei luoghi di montagna, ugualmente sprovvisti di adeguati presìdi sanitari. Altrettanta sensibilità c’è stata per la popolazione del cratere del sisma del 2016 e attualmente in Val Nerina i team mobili della Difesa stanno ultimando le seconde dosi per tutte le fasce di età”.
L’Italia corre sui vaccini, con circa 550 mila somministrazioni al giorno. Ma alcuni paesi, come l’Inghilterra, arrivata fino a 800 mila, dimostrando di avere una potenza di fuoco superiore a quella che ha oggi l’Italia. Qual è il vostro obiettivo in termini di capacità quotidiana?
“L’Italia corre tra i primi, visto che può orgogliosamente vantare di essere al passo con Germania, Francia e Stati Uniti, per numero di somministrazioni ogni 100 abitanti. In Europa, secondo i dati Agenas, di oggi, l’Italia è attualmente a quota 107, contro i 105 della Germania e i 103 della Francia, con gli Usa a 101. Questo è un merito che va riconosciuto a tutti gli italiani che hanno aderito alla campagna vaccinale per proteggere se stessi, i propri cari e in definitiva tutta la comunità. Per quanto riguarda le somministrazioni, queste dipendono da due fattori: da un lato il numero dei vaccini disponibili, in relazione ai contratti stabiliti dall’Unione europea con le case produttrici e ripartiti tra gli stati membri in base alla popolazione; l’altro fattore risiede nella rete formata dagli hub, dalle farmacie, i medici di medicina generale, etc. I punti di vaccinazione sono passati dai 1.433 che ho trovato all’atto della mia nomina agli attuali 2.764: si è trattato di uno sforzo notevole fatto insieme alle Regioni e alle Province autonome. L’attuale capacità di somministrazione è mediamente indicata in 500 mila vaccinazioni/giorno, in relazione ai due vaccini maggiormente utilizzati, e ci permetterà di raggiungere l’obiettivo programmato ai primi di marzo entro il 30 settembre”.
Generale, ma ci spiega perché considerare la proposta dell’utilizzo del Green pass come una via corretta per difendere la nostra libertà?
“Per riprendere le parole del presidente Draghi, la ‘certificazione verde’ ci permetterà di evitare ulteriori chiusure e di non interrompere la ripresa, con un’economia che cresce a un ritmo anche superiore ad altri paesi. Questo slancio non può essere frenato da una pandemia che – se non viene domata – ci costringerà a fermarci di nuovo”.
Siamo d’accordo con il dire che il Green pass non deve essere un semplice incentivo, ma una volta in vigore deve somigliare quanto più possibile a un obbligo? Lo spirito dovrebbe essere chiaro: chi lo ha può fare tutto, chi non lo ha può fare meno.
“La certificazione verde in vigore dal prossimo 6 agosto deve essere una risorsa, una garanzia di libertà per superare quelle limitazioni che erano state imposte fino ad ora. Lo si ottiene con la vaccinazione, e proprio per tutelare chi non ha potuto ancora fare il vaccino, il governo ha modulato la possibilità di ottenerlo già con una sola dose per sei mesi, o con il tampone o con la guarigione. Proprio sui tamponi, sto preparando – di intesa con il ministro della Salute – un protocollo con le farmacie per la somministrazione di test antigenici rapidi a prezzi contenuti. Nell’incontro preliminare di ieri con il presidente dell’Ordine dei farmacisti e dei rappresentanti delle diverse associazioni di categoria ho ottenuto una grande disponibilità”.
Il ministro Roberto Speranza, sul Foglio, qualche giorno fa ha detto che oggi è il momento delle scelte: o si scommette in modo convinto, intenso, deciso sulle vaccinazioni per tutti o si accetta il fatto che si dovrà tornare alle zone rosse per limitare il contagio. E’ d’accordo?
“Il virus è un nemico infido, mutevole. I nuovi casi hanno fornito l’evidenza che, se lasciato circolare liberamente, ha la capacità di modificarsi e aggredire in misura maggiore con le varianti. Anche in questi casi gli esiti negativi colpiscono quasi esclusivamente chi non si è vaccinato. Credo che non ci sia una via facile per uscire dalla pandemia, se non quella di immunizzare il più alto numero di persone il prima possibile”.
Possiamo dire che allo stato attuale della campagna di vaccinazione tutti coloro che volevano prenotarsi per vaccinarsi hanno potuto farlo e che dunque chi non si è vaccinato non lo ha fatto perché impossibilitato ma perché ha scelto di non farlo?
“L’attività di vaccinazione procede spedita e abbiamo raggiunto il 54 per cento della popolazione vaccinabile, somministrando tra prime e seconde dosi oltre 64 milioni di vaccini, con più di 29 milioni di persone che hanno completato il ciclo vaccinale. L’obiettivo per raggiungere l’immunità è coprire l’80 per cento della popolazione entro il 30 settembre. In tal senso ho interessato con una mia lettera le Regioni e le Provincie autonome per avere una situazione numerica aggiornata sull’adesione degli over 60, e la stessa cosa è stata fatta per la scuola, per cui ho chiesto di conoscere entro il 20 agosto il numero del personale scolastico che non può aderire per motivi sanitari, oppure non aderisce per libera scelta. Fino a ieri si stava registrando un leggero rallentamento delle prenotazioni in alcune regioni, ma proprio oggi ho constatato un aumento generalizzato, confermato da diversi presidenti di regione”.
A questo proposito, pensa sia corretto imporre il vaccino per le scuole, per scongiurare il rischio di una nuova ondata di Dad?
“Il mio compito è quello di programmare e predisporre tutti gli strumenti utili al fine di ottenere la massima copertura per ogni fascia di popolazione. Per quanto riguarda il personale delle scuole, è stata tra le prime categorie ad aver accesso prioritario ai vaccini, e in questi mesi sono state intraprese varie e ulteriori iniziative dedicate al personale scolastico e universitario, docente e non docente. Ho indirizzato alle Regioni e P.a. richieste tese a realizzare corsie preferenziali negli hub, e con l’ausilio dei medici competenti, per stimare con accuratezza le percentuali di adesione, o quanti materialmente impossibilitati a vaccinarsi per motivi sanitari. Particolare attenzione è stata poi dedicata agli studenti, considerata l’irrinunciabile valenza sociale ed educativa della didattica in presenza. Infatti, come indicato anche recentemente dal Comitato nazionale per la bioetica, va considerata la centralità della scuola in presenza nell’ambito della crescita personale e sociale dei bambini. L’obiettivo è poter garantire una buona copertura prima dell’inizio dell’anno scolastico nelle fasce di età per le quali i preparati farmacologici sono disponibili”.
Confindustria, qualche giorno fa, ha comunicato di voler penalizzare coloro che non sono vaccinati. In molti, come saprà, oggi si chiedono: perché non si sancisce l’obbligo di vaccino, senza costringere le aziende a configurare di fatto un obbligo surrettizio?
“Bisogna continuare nell’opera di convincimento per responsabilizzare i cosiddetti ‘esitanti’ all’importanza della vaccinazione sia per se stessi sia per la comunità alla quale si appartiene. Molte aziende stanno partecipando alla campagna, mettendo a disposizione spazi e risorse umane per vaccinare il proprio personale, aprendo in più anche al pubblico. Ho visitato diversi hub aziendali in tutta Italia, riscontrando sempre standard di prim’ordine, come nel caso di Ferrero, Reale Mutua, Cuccinelli, Unipol. Ho visto attenzione nei confronti della sicurezza e della salute dei propri dipendenti, in aggiunta a una certa sensibilità verso il territorio in cui operano”.
In alcune regioni, come l’Umbria, sono state già programmate le terze dosi e chi si è immunizzato a maggio dovrà fare una nuova dose a gennaio. Sarà questa la tempistica per il resto d’Italia?
“L’Italia ha già aderito ai contratti dell’Unione europea per garantirsi la propria quota di vaccini e anche una cospicua riserva. Il richiamo dovrà essere valutato e approvato dalle autorità sanitarie. La struttura sta ovviamente pianificandone l’eventuale impiego per farsi trovare pronta”.
Generale. L’ultimo miglio della campagna vaccinale è certamente quello più importante. Alcuni paesi come Israele o come gli Stati Uniti hanno scelto di vaccinare ovunque, anche in metropolitana, anche nei pub. E’ pensabile anche da noi?
“Guardando in prospettiva, occorre iniziare a pensare a un sistema di somministrazione in cui la vaccinazione sia qualcosa di strutturale, più capillare e più vicino alla gente. Secondo le indicazioni che ho fornito alle regioni, il sistema dovrà essere ricondotto il più possibile nell’alveo del Sistema sanitario nazionale, contando sulla partecipazione di tutte le professioni sanitarie che hanno già manifestato la loro adesione alla campagna vaccinale: i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta, i farmacisti”.
Vaccinare porta a porta, provare a seguire il modello capillare imboccato da Israele e Stati Uniti, stringere i bulloni attorno alla scuola, affidarsi agli incentivi più che all’obbligo e sperare che politici e cittadini capiscano che nella nuova stagione pandemica la difesa della libertà non coincide con la difesa dalle regole ma coincide molto più semplicemente con la difesa dal virus – e dagli irresponsabili incapaci di mettere in campo il proprio whatever it takes per portare gli italiani a vaccinarsi senza troppi se e senza troppi ma. L’ultimo miglio, in fondo, passa da qui.