Europa, vaccini, rilancio
Perché rinunciare al tandem Draghi-Mattarella? Piani con vista Colle
L’uno non può lasciare Palazzo Chigi, l’altro è il contrafforte al Quirinale. L’intesa sul green pass, le decisioni urgenti e quell’appello sui vaccini: “Sono un dovere civico e morale”
Mario Draghi dice che “l’invito a non vaccinarsi è un invito a morire” e Sergio Mattarella rafforza il concetto: “La vaccinazione è un dovere morale e civico”. E ancora, parlando questo pomeriggio al Quirinale a proposito delle lamentele sul green pass: “La libertà è condizione irrinunciabile, ma chi limita oggi la nostra libertà è il virus non gli strumenti e le regole per sconfiggerlo”. I due presidenti, dunque, Mattarella e Draghi. Un tandem nell’azione (e nella comunicazione), una coppia che funziona talmente bene al punto da rivelare la quasi inevitabilità di un progetto che probabilmente avrebbe l’appoggio di tutti (o quasi): Draghi alla presidenza del Consiglio fino in fondo e Mattarella rieletto al Quirinale. L’uno deve restare a Palazzo Chigi per completare il lavoro iniziato col Pnrr. L’altro è il suo più nitido e necessario contrafforte.
E certo è compito e dovere del presidente della Repubblica quello di difendere e aiutare il suo presidente del Consiglio. Sergio Mattarella l’ha fatto anche, e molto, con Giuseppe Conte, come pure con Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. Ma è la contingenza, l’eccezionalità del momento, la cronaca quotidiana che in tempi di pandemia si fa rapidamente storia, a intrecciare adesso oltremodo l’azione del Quirinale con quella di Palazzo Chigi. D’altra parte basta ascoltare le stesse parole di Mattarella per averne un’idea. “Due strade hanno consentito speranza e fiducia”, ha detto il presidente della Repubblica riferendosi alla vaccinazione e al piano di investimenti europei (di cui l’Italia è il più cospicuo beneficiario). “Sappiamo che dall’Unione europea sono in procinto di giungere le prime risorse del programma Next Generation. Gli interventi e le riforme programmate devono adesso diventare realtà”. Ecco il punto. Devono diventare realtà. Ecco in cosa consiste il lavoro di Draghi, che proprio per questo non potrà certo dirsi concluso prima della fine della legislatura.
“Non possiamo fallire: è una prova che riguarda tutto il paese”, ha detto il presidente della Repubblica, rafforzando ancora di più il concetto. “Quando si pongono in essere interventi di così ampia portata, destinati a incidere in profondità e con effetti duraturi, occorre praticare una grande capacità di ascolto e di mediazione. Ma poi bisogna essere in grado di assumere decisioni chiare ed efficaci, rispettando gli impegni assunti”. Ed ecco un altro passaggio significativo: “Decisioni chiare ed efficaci, rispettando gli impegni assunti”. Ed è proprio Draghi il garante riconosciuto del Pnrr. L’uomo che può rispettare gli impegni assunti. “L’unico in Italia al quale l’Unione europea consente di aumentare debito e deficit”, ha detto una volta Renato Brunetta dando voce a ciò che tutti sanno. È Draghi la persona che nei prossimi due anni deve consolidare il piano del Recovery affinché - chiunque poi governi - le riforme e i progetti avviati marcino da soli. Non lo si può spostare da lì, da Palazzo Chigi. Non può certo andarsene al Quirinale. E chi lo sostituirebbe?
Dal successo del Pnrr inoltre non dipende solo la ripresa italiana in questa fase, ma anche la possibilità che in Europa si consolidi un dibattito finalizzato all’emissione definitiva di debito comune. Che per l’Italia sarebbe un sogno. La nascita di quelli che una volta si chiamavano Eurobond. Titoli garantiti da tutti gli stati dell’Unione. Ma perché questo sia possibile – da ottobre l’Ue ha previsto una serie di incontri per ridiscutere le regole interne (Economic governance review) – è necessario che il Pnrr sia fatto bene. L’intenzione della Commissione europea, e del commissario economico, che è Paolo Gentiloni, è di usare il 2022 proprio per cambiare le regole europee. Approfittando anche della presidenza francese dell’Ue che copre esattamente il primo semestre del 2022. Ma intanto serve che l’Italia non fallisca nel suo sforzo. Che non butti i soldi. L’Italia è il banco di prova.
Ed ecco dunque tornare il binomio, il tandem necessario: Mattarella e Draghi. Due nomi che si tengono insieme. E non solo agiscono con simmetrica concordia istituzionale, come s’è visto sul green pass che è il requisito “per evitare nuove chiusure e danni all’economia”, ma si tengono insieme nel più ampio progetto politico e strategico che mira – tra mille difficoltà – a una nuova fase italiana e continentale. Sergio Mattarella concluderà il suo mandato il 31 gennaio del 2022. Insomma proprio all’inizio dell’anno fatidico per chiudere il Pnrr e la discussione europea sulle nuove regole economiche. Chi, meglio di lui, che Draghi lo ha voluto e chiamato, sarebbe però in grado – nella continuità – di ergere un muro a difesa del presidente del Consiglio? Una diga al di là della quale urla il mare fatuamente tempestoso della politica italiana. Il presidente Mattarella ha già detto che questo sarà il suo ultimo anno al Quirinale. Chissà. Ha compiuto ottant’anni. Tuttavia il suo predecessore, Giorgio Napolitano, fu eletto la prima volta quando aveva proprio ottant’anni. E fu poi rieletto presidente della Repubblica, nel 2013, quando ne aveva ottantasette.