Un altro populismo è possibile. Elogio di Giorgetti e Di Maio
Draghi e il miracolo di utilizzare i protagonisti dell’éra gialloverde per cancellare i danni prodotti dalla stagione gialloverde. Giustizia e non solo
Si guardano, si parlano, si scrutano, si capiscono, si intendono e alla fine, pur da posizioni diverse, riescono spesso ad arrivare allo stesso felice risultato. Non è una semplice mediazione, non è una semplice negoziazione. E’ qualcosa di più. E le rette parallele tracciate in queste prime settimane da Giancarlo Giorgetti (Lega) e da Luigi Di Maio (M5s) sono quelle giuste da seguire, da studiare, da analizzare e persino da elogiare per provare a capire in che modo l’esecutivo Draghi è riuscito nel miracolo di utilizzare gli stessi protagonisti del governo gialloverde per cancellare alcuni tra i danni più gravi prodotti dalla stagione gialloverde.
Sarebbe troppo semplice dire che Giancarlo Giorgetti e Luigi Di Maio – che giovedì hanno svolto un ruolo decisivo nel guidare i propri partiti di riferimento verso il traguardo dell’abolizione della riforma Bonafede, il primo convincendo il centrodestra a non badare troppo alle piccole modifiche ottenute dal M5s, il secondo riuscendo a fare quello che non ha voluto e saputo fare il Pd, ovverosia spiegare al M5s l’importanza di superare la stagione del giustizialismo chiodato – rappresentano il lato più moderato del populismo leghista e del populismo grillino. Giorgetti e Di Maio sono qualcosa di più e sintetizzano due modi diversi eppure speculari di tracciare sul terreno della politica i confini che un partito populista non può più permettersi di superare.
La spinta che ha portato Di Maio a ritagliarsi un ruolo di responsabilità all’interno del M5s è la spinta di un ex numero uno diventato un numero due che, in competizione con l’attuale numero uno del M5s, sogna di utilizzare la stagione di contaminazione del draghismo per costruire un percorso nuovo con il quale provare a essere nuovamente un numero uno. La spinta che ha portato invece Giorgetti a muoversi come vero capo della Lega all’interno del perimetro di governo è una spinta di un numero due che non ha velleità da numero uno e che però tenta ogni giorno di muovere un passo per portare il numero uno su posizioni simili a quelle del numero due. La sfida è difficile, soprattutto per Giorgetti, ma la capacità di quest’ultimo di muoversi all’interno del governo come cinghia di trasmissione perfetta tra l’agenda pragmatica di Draghi e l’agenda ideale della Lega ha portato l’attuale ministro dello Sviluppo a diventare, se si escludono i tecnici che ci sono al governo, il vero braccio destro del premier in Consiglio dei ministri, con una forza di azione tale da essere riuscito in un piccolo capolavoro che spesso sfugge alla luce dei riflettori: fare della Lega, insieme con il resto del centrodestra, il punto di riferimento vero del governo nell’azione quotidiana del Parlamento.
In Parlamento, spesso, come si è visto per esempio in commissione su alcuni provvedimenti cari al ministro Cingolani, gli sgarbi al governo almeno finora sono arrivati più dal vecchio fronte rossogiallo che dal vecchio fronte del centrodestra. E se si ha la pazienza di osservare l’attività quotidiana dei ministri e dei parlamentari, non si farà fatica a notare che la Lega che sceglie di andare in piazza, che sceglie di ribellarsi contro il green pass, che sceglie di sparare fregnacce a raffica sui vaccini è una Lega che si trova distante da quella che in Consiglio dei ministri collabora felicemente con Draghi. Giorgetti non lo fa per fare le scarpe a Salvini, perché nulla di quello che fa il numero due della Lega avviene senza l’autorizzazione del numero uno, ma lo fa perché ha capito, forse meglio di Salvini, che la stagione del governo Draghi sta permettendo alla Lega più di governo che di lotta di prendere coraggio per provare a superare la stagione della così detta post presentabilità (vedi i governatori Fedriga e Zaia a favore del green pass e contro la Lega che va in piazza: “Mi rifiuto di pensare che quella sia la nostra linea”, ha detto ieri il governatore veneto).
Difficile dire se sul lungo periodo Di Maio e Giorgetti vinceranno la loro sfida. Più facile dire che entrambi all’interno di questo governo stanno svolgendo un ruolo chiave, prezioso, cruciale: usare Draghi per mettere in luce gli errori commessi dai rispettivi partiti e provare a dimostrare che un altro populismo forse è ancora possibile. Ben scavato vecchie talpe.