Così l'asse gialloverde blocca l'Ufficio parlamentare di Bilancio
Tra l'8 e il 9 settembre deputati e senatori saranno chiamati a stilare la squadra da offrire a Fico e Casellati. Ma tra il candidato "troppo di destra" e quello "troppo di sinistra", finora vince la palude ostruzionista
Di giustificazioni tecniche per motivare il ritardo pure ce ne sono. E in effetti è a quelle che si appellano un po’ tutti, per dissipare i pettegolezzi: i molti cambi di casacca, le conseguenti sostituzioni in commissione Bilancio, la crisi di governo e, ovviamente il Covid che ogni normalità ha stravolto. E però sta di fatto che l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) è scaduto ma è ancora lì, con una proroga che dura ormai da un quindici mesi, in attesa di conoscere il suo nuovo destino. E se Giuseppe Pisauro, Chiara Goretti e Alberto Zanardi, i tre componenti del più importante organo consultivo indipendente sui temi della finanza pubblica, restano in questo limbo da aprile 2020 è evidente che sono soprattutto i contenziosi politici a determinare lo stallo. Che si fa tanto più preoccupante se si dà uno sguardo al calendario. Perché, con le ferie estive incombenti, la sessione di Bilancio s’approssima già: e arrivare alla stesura della prossima Nadef a ottobre senza un pienamente legittimato Upb, che ha proprio il compito istituzionale di valutare le previsioni macroeconomiche e sui conti pubblici del governo, rischia di essere un gran problema. E non a caso anche a Bruxelles si guarda con una certa preoccupazione a questo ritardo.
E forse è anche per questo che nelle scorse ore, dopo un ultimo consulto, il dem Fabio Melilli e il grillino Daniele Pesco, presidenti delle commissioni Bilancio di Camera e Senato, hanno fissato la convocazione più attesa. E così tra l’8 e il 9 settembre deputati e senatori saranno chiamati a stilare la rosa da offrire poi a Roberto Fico ed Elisabetta Casellati.
La procedura, infatti, prevede che la nomina dei tre economisti venga fatta dai presidenti delle Camere, che scelgono i nuovi membri dell’Upb da una lista di dieci personalità di “riconosciuta indipendenza e comprovata competenza ed esperienza in materia di economia e di finanza pubblica a livello nazionale e internazionale” indicata dalle due commissioni Bilancio a maggioranza dei due terzi.
E qui sta appunto l’intoppo. Perché tra le varie candidature presentate ce ne sono almeno un paio che sono finite ad alimentare il gioco dei veti incrociati, e dunque la paralisi. Il primo è quello di Enrico Zanetti, ex viceministro dell’Economia nel governo di Matteo Renzi, quando a Via XX Settembre c’era Pier Carlo Padoan. Profilo stimato, certo, se non per il fatto che l’Upb è un organo pensato per macroeconomisti o esperti di finanza pubblica. E invece Zanetti è “solo un commercialista”, sbuffano i suoi detrattori, che vanno ricercati per lo più nelle file del centrosinistra. Il che spiega forse come in effetti i dubbi sulla sua candidatura siano soprattutto di tipo politico. Et pour cause, se è vero che tra i requisiti fondamentali dell’Upb, chiamato spesso a intervenire sulla bontà e sugli effetti delle scelte del governo, c’è quello dell’indipendenza partitica (e anche per questo il mandato dell’Ufficio è di sei anni non rinnovabili, per metterlo al riparo il più possibile dai cambi di equilibrio in Parlamento): e Zanetti, invece, è stato segretario di Scelta civica, candidato senza fortuna alle elezioni del 2018 nelle file di Noi con l’Italia, insomma dichiaratamente legato al mondo del centrodestra e, pare, assai gradito alla presidente del Senato per via di certe comuni amicizie tra Padova e Venezia.
D’altro tipo, invece, paiono le rimostranze che, forse in un’ottica di ripicca, bloccano un’altra candidatura: quella di Massimo Bordignon, direttore del dipartimento di Economia e finanza all’Università Cattolica di Milano. Che certo non ha stimmate politiche da dover mostrare, ma che per un pezzo del M5s ha la colpa evidente di appartenere a quella cerchia dannata degli euroburocrati, dal momento che fa parte dell’European Fiscal Board, ovvero del più importante comitato consultivo per le finanze pubbliche dell’Unione europea: insomma, l’Upb dell’Ue. Questo da solo dovrebbe bastare a ritenere il profilo di Bordignon il più adatto a guidare l’Upb, che tra l’altro è nato proprio in attuazione delle normative Ue per valutare il rispetto delle regole di bilancio nazionali ed europee. E invece per i grillini il passaggio dal Fiscal board all’Upb, anziché essere una garanzia, sarebbe per Bordignon “una roba da conflitto d’interessi”. E così l’opposizione del M5s ha dato agio al centrodestra, nella riproposizione di un fronte gialloverde, di ribattere strumentalmente al veto su Zanetti, accusando Bordignon di essere “troppo di sinistra”.
E siccome la decina dei papabili va votata con la maggioranza dei due terzi dei membri delle commissioni Bilancio, e fare ostruzionismo è fin troppo agevole, ecco spiegata la palude. Un ritardo che costringe Pisauro, Goretti e Zanardi a restare in prorogatio ma perennemente in bilico, fino a data da destinarsi. O, almeno, fino al 9 settembre.