5 febbraio - 5 agosto

I primi sei mesi di Mario Draghi

Salvatore Merlo

Tutto è cominciato a febbraio con una Bic blu, un foglio bianco e i partiti intimoriti, attorno a lui. Oggi l’ex marziano sta facendo i conti con lo stagno della politica italiana: la difficile sintesi sulla riforma Cartabia, il green pass a metà, la nomina di De Carolis a Anas 

Tutto è cominciato con una Bic blu, un foglio bianco e i partiti intimoriti, attorno a lui, il marziano alle consultazioni: “Ditemi, sono qui per ascoltare”. Il viso immobile sotto la mascherina, le poche parole,  la diffusa ed extraincandescente sensazione che sempre  è il risultato dell’essere invocati, applauditi e comunque trattati come un monumento o una personalità ultraterrena da chi –  politici italiani, insomma gente assai navigata come Dario Franceschini – davanti a lui infallibilmente un po’ s’intimidiva.  “Mi ha sorriso”, scherzava qualcuno. “Allora è umano”, aggiungeva un altro. Mentre Renato Brunetta già un po’ si vantava “sono l’unico che gli dà del tu” e Giancarlo Giorgetti, che gli dava del tu da anni, intanto convinceva quello sgarzolino twittante di Matteo Salvini: “Guarda che quello è come Cristiano Ronaldo”.  Il governo va fatto.

 

Era il 5 febbraio 2021, esattamente sei mesi fa, secondo piano di  Montecitorio, salone della Lupa. Le consultazioni. Altro che semestre bianco. Mario Draghi sembrava la vivente fatalità dell’italico destino, al punto che lui stesso, con un sorriso a filo d’erba, con un accenno premonitore, avrebbe poi detto: “Mi auguro che le future delusioni non siano pari all’entusiasmo che c’è oggi”.  In poco tempo saltano, e vengono sostituiti, tutti i gangli vitali del paese.  Partenza a razzo, come si dice.  Iperdecisionismo. E i partiti ammutoliti. Zitti. Tramortiti.  Via Arcuri dentro Figliuolo, cambio ai servizi segreti, il nuovo capo della Polizia, licenziati  pure i vertici di Cdp, che è la cassaforte d’Italia. E poi i provvedimenti, con urgenza, e la filosofia del “se siete d’accordo, bene, ma se non siete d’accordo va bene uguale”: il piano vaccini e le semplificazioni, il  Pnrr e l’Aspi, il decreto semplificazioni e la Rai. Favorito dalla decomposizione dei 5 stelle, dal declino e poi dalle dimissioni di Nicola Zingaretti, Draghi era l’elefante che svellendo alberi e calpestando tane avanza in linea retta non avvertendo neppure i graffi delle spine e i guaiti dei sopraffatti. Poi però, lentamente, qualcosa è cambiato, forse. Le vecchie volpi gli hanno preso le misure. A Zingaretti è succeduto un nuovo segretario del Pd, Enrico Letta, mosso dall’ansia di esistere. Di manifestarsi. Ed è ritornato Giuseppe Conte, il Lazzaro  che qualcuno ora chiama “il sabotatore”, adesso leader politico legittimato, persino digitalmente  eletto, del Movimento sopravvissuto. E così, in coincidenza con l’estate, ecco il luglio difficile della riforma della giustizia, il rinvio del decreto concorrenza, ecco  i novecento emendamenti minacciati dalla Lega sul green pass.

 

Ieri è stata rinviata una cabina di regia, e poi, per la prima volta i partiti, tutti insieme, hanno bloccato una nomina del governo, quella del nuovo amministratore delegato di Anas, Ugo De Carolis. Finora non era mai accaduto. D’un tratto, Draghi, il cigno bianco, cioè l’evento positivo e inatteso, arrivato allo zenit del caldo estivo, inizia a proiettare la sua ombra sui muri: lo vediamo  nero. Anche se forse, trattandosi di ombra, appunto, è solo un’illusione. Le cose davvero importanti, per quest’anno, sono già state fatte. Persino la giustizia, benché a fatica. Si può concedere una vittoria a Conte e una a Salvini. Che i partiti recuperino un po’ di voce. Ci sono le amministrative, d’altra parte. E pure le suppletive a Siena. Tuttavia Brunetta aveva suggerito a Draghi di  non andare in ferie. Di restare a Roma. A presidio. Non si sa mai.  Lui invece ha deciso di andare, altroché. Seconda e terza settimana di agosto. Tutto sotto controllo. Forse. 

 

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.