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Franco ricorda che su Mps sono tutti coinvolti, e Renzi sente Letta

Valerio Valentini

Il ministro dell'Economia e delle finanze ha cercato di mostrare l’infondatezza delle molte fantasiose letture sorte sotto il cielo della politica negli ultimi giorni sull'acquisizione della banca senese da parte di UniCredit

Sarà pur vero quel che Enrico Letta ha garantito direttamente a Matteo Renzi (ebbene sì, i due si sono sentiti in questi giorni, sia via WhatsApp sia per telefono), e cioè che l’ansia elettorale per le suppletive di ottobre non interferisce affatto nel giudizio che il segretario del Pd ha della faccenda del Monte dei Paschi di Siena. E però mercoledì sera, a Montecitorio, Daniele Franco deve avere percepito una certa freddezza dal fronte dem. E non è un caso se, poco prima che la seduta si sciogliesse, il senatore Luciano D’Alfonso, presidente di una delle due commissioni Finanze chiamate ad ascoltare il ministro dell’Economia, ci ha tenuto a mostrarsi fin troppo cerimonioso con l’ospite che gli stava  accanto: quasi con l’aria, insomma, di chi volesse ricucire un mezzo strappo.

 

Perché del resto una certa ostilità da parte di altri partiti, compresi quella della maggioranza, era messa nel conto. Perfino quando Elio Lannutti, il senatore già idolo dei grillini antieuro, quello dei “Savi di Sion” e della “Morte dei Paschi”, ha paragonato la faccenda Mps allo scandalo della Banca Romana, Franco non s’è scomposto più di tanto (limitandosi semmai a stigmatizzare come “poco gradevoli” gli attacchi a quell’Alessandro Rivera, dg del Tesoro, che se ne stava lì, in fondo alla sala, ad ascoltare con l’aria di chi se ne è sentite dire di peggio).

Più ingenuo, poi, è stato l’atteggiamento di Lega e M5s, sempre disposti a rinnovare una certa corrispondenza di sensi gialloverdi quando si para di banche. Perché sia gli uni sia gli altri hanno rispolverato tutto in campionario di fumisteria  da forze di quasi opposizione, che ha finito per fare il gioco di chi all’opposizione ci sta davvero. E così i grillini Zanichelli e Pesco, e i leghisti Bagnai e Picchi, hanno solo potuto alludere a quel che il meloniano De Bertoldi ha detto con forza: e se i primi vagheggiavano “un pool di acquirenti” e i secondi lamentavano il malaccorto tempismo di chi apre una negoziazione con UniCredit poche ore prima della trimestrale di Mps che farebbe segnare un rinnovato trend positivo, quelli di Fratelli d’Italia parlavano esplicitamente di svendita, di scandalo.

Piuttosto, ha sorpreso un po’ l’atteggiamento del Pd. “C’è un tempo per ogni cosa”, si sono poi giustificati i dem con Franco, provando a spiegare perché avevano scelto il tempo dell’invettiva elettorale, evidentemente a dispetto della serenità  ostentata da Letta. E così il dem Fragomeli ci ha tenuto a ribattere colpo su colpo sulle rassicurazioni del ministro: bene la salvaguardia dei posti di lavoro, ma che non la si ottenga coi prepensionamenti; bene che si scongiuri lo spezzatino prima della due diligence, ma bisogna mantenere una quota pubblica di garanzia che impedisca a UniCredit di fare quel che vuole anche dopo l’operazione.

 

Quanto a Franco, ha certamente colto l’occasione per mostrare l’infondatezza delle molte fantasiose letture sorte sotto il cielo della politica negli ultimi giorni. Ha dimostrato perché il piano proposto da Mps è alquanto debole, sia rispetto ai 2.500 esuberi volontari previsti (“Il numero potrebbe essere considerevolmente più elevato nel caso probabile in cui la Commissione richiedesse di fissare un obiettivo costi-ricavi più ambizioso”), sia per quel che riguarda le esigenze di ricapitalizzazione della banca, e come dunque l’ipotesi di un rilancio del Monte nell’ottica dello stan alone “sarebbe esposto a rischi e incertezze considerevoli”. E lo stesso vale per le scombiccherate richieste di creare “un sistema di banche territoriali”  (che assomigliano poi a dei lazzaretti di banche decotte, con PopBari e Carige, per come le delinea la vulgata sovranista e grillina): perché se è vero che, dopo oltre otto mesi di ricerca, UniCredit è l’unico istituto che abbia manifestato interesse, è inutile inseguire delle chimere. E dunque ecco perché “non ci sono le condizioni”, a detta del ministro, per utilizzare l’emergenza Covid come pretesto per chiedere a Bruxelles una proroga sulla vendita di Mps.

Del resto, Franco s’è premurato di ricordare a tutti che quella scadenza era stata concordata a seguito di un confronto con l’Europa avviato dal governo Conte I e ottenuto dal governo Conte II, quando, nel settembre del 2019, si fissò la data del 31 dicembre del 2021 come termine ultimo solo in cambio della promessa di aumentare il numero degli esuberi e degli sportelli da chiudere. E, sempre come avviso ai naviganti, ha citato anche il dpcm del 16 ottobre del 2020 con cui l’allora premier Conte “ha demandato al Mef di dare avvio alle procedure per la dismissione delle proprie partecipazioni nella banca”. E insomma, siccome si è un po’ tutti coinvolti, in questa vicenda, è bene che nessuno ora provi ad avanzare pretese irrealistiche. Forse la calma di Letta dipende anche da questo. 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.