Tra incertezze e ambiguità
Una destra law & disorder
La marcia trionfale verso il potere è sempre più accidentata. E tutti i candidati sembrano usciti dal Papeete Beach
Cosa sta succedendo alla destra italiana? Sono anni ormai che tutti i sondaggi ne certificano il crescente consenso popolare, che tutti gli analisti ne pronosticano l’inevitabile vittoria alle prossime elezioni, che tutti i commentatori ne riconoscono l’incontrastata egemonia nel discorso pubblico. Eppure, quella che dovrebbe essere una marcia trionfale verso il potere, per qualche misteriosa ragione, si rivela ogni giorno più accidentata.
A Napoli, i partiti del centrodestra candidano un magistrato, Catello Maresca, nella stessa città in cui ha fatto il pm fino a cinque minuti prima, mentre promuovono i referendum garantisti per la giustizia giusta e la separazione delle carriere (prontamente firmati dal candidato in toga, del resto si tratta di separare le carriere di giudice e pm, mica quelle di pm e politico); a Milano, candidano un medico, Luca Bernardo, che si presenta armato in ospedale e straparla di immunità di gregge, mentre il mondo è nel pieno della quarta ondata; a Roma, lanciano un avvocato, Enrico Michetti, che a ogni domanda sui problemi delle infrastrutture e gli investimenti del Pnrr ricomincia dagli acquedotti romani e dalle grandi opere dei Cesari, dichiarando senza esitazione d’ispirarsi a “Ottaviano Augusto”.
Per carità, la campagna elettorale è appena cominciata, probabilmente è ancora presto per giudicare i candidati e comunque è indubbio che di magistrati capaci di fare avanti e indietro con la politica siamo pieni da decenni, che di affermazioni imprecise o discutibili sui vaccini ne abbiamo sentite tante anche da fior di luminari della medicina e che alla fin fine ognuno è libero di ispirarsi ai modelli che preferisce, e che li tragga dalla storia contemporanea o da quella dell’antico Egitto non dovrebbe fare poi una gran differenza (e se pensate che questa sia una divagazione, è perché non avete seguito il primo confronto tra i candidati, in cui Michetti si è diffuso a lungo sulla questione del perché i romani costruissero bagni pubblici per il cittadino, mica piramidi per i faraoni, evidentemente ignaro dell’esistenza della piramide Cestia, che dà anche il nome a una stazione della metropolitana).
Insomma, per quante giustificazioni si possano trovare, il meno che si possa dire è che non è un bello spettacolo. Ma soprattutto non è lo spettacolo che ci si attendeva, e sarebbe stato ragionevole attendersi, dallo schieramento che dal 2017 a oggi risulta di gran lunga prevalente su ogni avversario, secondo tutte le rilevazioni. I pasticci dei candidati sindaco rispecchiano tuttavia incertezze e ambiguità che da tempo caratterizzano i partiti del centrodestra, e li vedono sbandare da una parte all’altra su tutte le questioni al centro del dibattito. A cominciare, naturalmente, dal Covid.
A una banalissima domanda sul problema degli anziani non ancora vaccinati, ad esempio, Bernardo, il candidato di Milano, che è pure medico, risponde: “Il mio consiglio è vaccinarsi, ma io sono un uomo della libertà e della libertà di pensiero, quindi devono decidere loro cosa preferiscono fare, l’importante è che quelli che noi stiamo vaccinando danno la copertura di gregge, che è la cosa più importante, anche per quelli che non si vaccineranno” (affermazione tanto imprecisa, riguardo a un’immunità di gregge che potrebbe non arrivare mai, quanto dannosa, perché quello è esattamente il miraggio che spinge tanti a non vaccinarsi).
Ancora più clamorosa la contraddizione sulla giustizia, dove la coalizione che ha passato gli ultimi trent’anni denunciando la politicizzazione della magistratura continua imperterrita a candidare magistrati. Perché, va detto, Maresca non è certo il primo. Anche se forse è il primo a essere riuscito ad attirarsi l’accusa di confondere i due ruoli da un vero esperto del ramo quale Luigi De Magistris, che lo ha accusato di avere “bruciato quell’apparenza di indipendenza della magistratura di cui parlava Calamandrei”.
Un’accusa che comunque gli ha rivolto anche Carlo Calenda, nel corso di una puntata di “Omnibus” andata in onda venerdì 30 luglio. E questa, testualmente, è stata la risposta di Maresca: “Penso che un magistrato sia un uomo come gli altri, un cittadino come gli altri, che possa mettere la propria vita al servizio della propria città; questo è quello che ci anima, questo è quello che vogliamo fare e vogliamo provare a farlo in maniera seria, proprio partendo dalle esigenze della gente, da quello che la gente vuole rappresentarti e quelle che sono le problematiche, tante, no? che poi hanno la cartina del tornasole in quello che si diceva, e cioè in un disagio profondo che si trasforma in istanze di aiuto che oggi sono soddisfatte dal reddito di cittadinanza, ma domani dovranno essere soddisfatte da condizioni di lavoro più serie, più profonde, cioè da un approccio diverso rispetto ai disastri provocati da trent’anni della sinistra, perché Napoli è una città che è stata governata dalla sinistra per almeno trent’anni, forse trentacinque, addirittura”. Chiaro?
Forse però l’esempio più significativo dell’attuale confusione strategica in cui versa il centrodestra, a tutti i livelli, è dato dalla performance di Michetti al primo, e probabilmente ultimo, confronto con gli altri candidati sindaco. Qui, oltre a molte cose interessanti sulla portata degli acquedotti romani e il modo in cui Ottaviano Augusto pacificò Roma dopo le guerre civili, il vuoto assoluto della proposta politica e programmatica è stato ampiamente compensato da sprazzi di autentico lirismo, come ad esempio: “Molto spesso mi dicono: cos’è la semplificazione? La semplificazione è la pietà di Michelangelo”. Una definizione che per forza icastica è già divenuta proverbiale. Ma la mia preferita, confesso, è questa: “L’efficienza è un’amministrazione che parte dalla fiducia, dalla serenità, dal dialogo, perché guardate che il provvedimento amministrativo respira della serenità, del dialogo, della fiducia, riflette quello stato d’animo, quell’ambiente”.
Se è così, bisogna dire che i primi passi del candidato Michetti non hanno contribuito alla serenità nella coalizione di centrodestra. E forse era anche per ricreare un simile clima che giovedì la presidente di Fratelli d’Italia è andata in Sardegna, a villa Certosa, a trovare Silvio Berlusconi. Il quale – a quanto ha raccontato un estasiato Ignazio La Russa, presente anche lui al vertice – le ha mostrato “la sua splendida collezione di farfalle” e al quale lei ha spiegato che “a noi piace stare in una coalizione di amici”. Trasparente riferimento alla lunga serie di sgarbi, per usare un eufemismo, che Fratelli d’Italia ha dovuto subire da parte della Lega, dal Copasir alle nomine in Rai. Fino al ventilato progetto di fusione tra Lega e Forza Italia, che sembra pensato apposta per soffiare a Fratelli d’Italia il titolo di primo partito della coalizione, impedendo a Meloni di poter rivendicare per sé il ruolo di presidente del Consiglio. In caso di vittoria del centrodestra, s’intende. Ma la vittoria del centrodestra, come sappiamo, è data da tutti per scontata. E forse questo è un pezzo del problema. L’imminente eppure sempre rinviato trionfo comincia ad assomigliare a una di quelle profezie costantemente ripetute, che nessuno osa mettere in dubbio e che tuttavia, nonostante tutto lasci pensare il contrario, non si avverano mai.
Può darsi che sia una strategia, magari michettianamente ispirata a Quinto Fabio Massimo, il temporeggiatore. Quello che è certo è che non sta funzionando.
Considerata dal punto di vista dei rapporti di forza elettorali, delle posizioni di governo e dei concreti rapporti di potere, sono infatti quattro anni che la politica italiana somiglia a un assurdo match di pugilato tra Mike Tyson e Don Lurio, in cui non si riesce a capire come mai, al termine di ogni round, Tyson finisca sistematicamente al tappeto.
Sulle ragioni per cui dal 2017 a oggi il centrosinistra sia in condizioni paragonabili a quelle di Don Lurio – dal punto di vista pugilistico, s’intende, e senza un briciolo della sua agilità e della sua grazia – non dovrebbe esserci bisogno di molte spiegazioni: basta dire che ancora oggi è tutt’altro che chiaro che cosa il centrosinistra sia, quali siano i suoi confini, quali forze comprenda e quali no. E già chiamandole “forze” sono stato generoso. Per non parlare della questione di chi dovrebbe esserne il leader, argomento su cui sorvolo, perché perderemmo solo un sacco di tempo, addentrandoci in una disquisizione puramente astratta, più deprimente che utile.
Quanto invece alla destra, davvero non si capisce che cosa le manchi. Anzi, si direbbe che abbondi di tutto: leader, consensi, forza organizzativa. Non per niente, appartengono alla coalizione di centrodestra entrambe le formazioni che oggi si contendono il primo posto nei sondaggi: Lega e Fratelli d’Italia. Entrambe dispongono di leader forti e riconosciuti, come Matteo Salvini e Giorgia Meloni. La stessa coalizione, del resto, aveva già sfiorato la vittoria alle elezioni del 2018, in cui comunque era arrivata prima, sia pure senza i numeri per essere maggioranza assoluta in parlamento. Eppure, al momento decisivo, com’è come non è, c’è sempre qualcosa che va storto. Non si capisce se per mancanza di visione o di determinazione, o per eccesso di discordie interne. E chissà cosa ne direbbe Ottaviano Augusto.
Dopo la separazione consensuale dagli alleati per andare al governo con il Movimento 5 stelle, la Lega era balzata in appena un anno dal 17 per cento delle politiche del 2018 al 34 per cento delle europee del 2019. Sommando soltanto i risultati dei tre principali partiti del centrodestra, la coalizione superava già il 49 per cento, a un soffio dalla maggioranza assoluta. Non per niente, è proprio in quel momento che Salvini tenta il colpaccio, nella tragica estate del Papeete. Quando, come dirà Matteo Renzi, il leader leghista finisce per cappottarsi nel parcheggio.
Da questo punto di vista, l’incredibile epopea michettiana assomiglia molto al Papeete di Giorgia Meloni. Imposto all’intera coalizione dopo mesi di sfibranti trattative, pomposamente annunciato dalla stessa presidente di Fratelli d’Italia come il “Mr Wolf del centrodestra” – omaggio al personaggio di Pulp Fiction che si presentava dicendo semplicemente: “Risolvo problemi” – il novello Augusto si è rivelato più un problema che una soluzione. Lui, intervistato mercoledì dal Corriere della sera, nega qualunque malumore, con quel tono svagato e quell’aria naïf che, va detto, se possono giustificare qualche dubbio sulle sue doti politiche, rendono impossibile trovarlo antipatico: “Mi creda, siamo in un’armonia totale. Oh, almeno questa è la situazione che mi si para davanti. Sul resto non so”.
Non so cosa ne avrebbero detto Settimio Severo o Treboniano Gallo, a Meloni però i nervi un po’ devi averglieli fatti venire, se è vero, come ha scritto l’Huffington Post, che di recente gli avrebbe dato una bella strigliata, cominciata con un secco: “Aho, mo basta con questa storia di Roma antica” (che poi, per il partito erede della fiamma missina, a pensarci, è una bella nemesi). Difficile dire se basterà a rilanciarne la campagna, di sicuro renderà i futuri confronti molto più noiosi, senza il candidato del centrodestra a spiegare che “la Roma di Augusto e di Cesare guardava al dialogo” e che “noi abbiamo bisogno di questo dialogo, abbiamo bisogno della Roma della Pax augustea”.
Ma sarebbe anche ingeneroso scaricare sui candidati sindaco, per quanto improbabili possano apparire certe loro uscite, un problema che sta chiaramente a monte. Anche perché un candidato eccentrico può capitare a tutti, ma tre su tre no. Non possono essere tutti fuori dalle righe. Evidentemente siamo noi che non abbiamo guardato le righe giuste. Perché c’è un filo che lega la candidatura del magistrato che vorrebbe una forma di risarcimento per i tifosi danneggiati dai torti arbitrali (a cominciare naturalmente dai tifosi del Napoli), la scelta del medico che prima nega e poi ammette di essersi presentato armato in ospedale, “ma mai in corsia” (“Io non sono mai entrato in corsia con un’arma e neanche vestito da sceriffo a carnevale… io sono entrato con l’arma in ospedale, l’ho avuta addosso, ma mai in corsia e mai quando giro con i pazienti”) e quella dell’avvocato con la fissazione dell’antica Roma. Ed è il senso di spaesamento che trasmettono, di cui sono al tempo stesso vittime, testimoni e amplificatori.
Come è in fondo naturale che sia, in una coalizione che in questo momento si trova per metà al governo e per metà all’opposizione, dove i leader appaiono assai più impegnati nel marcarsi e nello sgambettarsi a vicenda che nel costruire un’alleanza in grado di guidare il paese. Come se il lento ma inesorabile tramonto del principato berlusconiano, leader praticamente incontrastato per oltre un quarto di secolo, avesse lasciato un centrodestra in preda all’anarchia, alle vendette e alle pulsioni autodistruttive di quelle che un candidato sindaco chiamerebbe senz’altro discordie civili. Chissà cosa ne direbbe Eliogabalo.