Luciana Lamorgese e Matteo Salvini (LaPresse) 

Un agosto in gabbia

La guerra di Salvini contro Lamorgese è una danza dell'orso 

Il tentativo di forzare la mano al Viminale sugli sbarchi è debole propaganda

Maurizio Crippa

Prima il green pass (sconfitto con perdite), ora l’immigrazione. Ma il ministro dell’Interno è più forte. Nostalgia del Viminale

Tornare sul luogo del delitto è una pulsione irresistibile. Gironzolare attorno al luogo dove s’è lasciato il tesoro, come i pirati all’isola, o come un animale attorno alla tana che si è dovuto abbandonare, ma che si fiuta ancora. Matteo Salvini è animale politico di stazza, tenace, che non molla. E’ tornato quest’estate al Papeete, il luogo del delitto, per ritrovare il ruggito di quando invocava i pieni poteri. Ma il vero luogo cui col pensiero continua a tornare è il Viminale. L’esperienza da ministro dell’Interno, quando si comportava un po’ da ministro di polizia e un po’ da ministro della marina di guerra, gli è rimasta nella pelle. Come una missione interrotta, come un ruolo che gli spetta. Così da tempo ha messo nel mirino Luciana Lamorgese, ex prefetto e ministro tecnico che l’ha sostituito al Viminale. Un attacco sistematico, quasi fosse all’opposizione (e questo è in fondo comprensibile: non può certo lasciare tutta la forza di cannoneggiamento a Giorgia Meloni). Ma al di là del posizionamento tattico, le quotidiane salve di mortaio che Salvini indirizza contro la titolare del Viminale derivano da un senso di debolezza inconcludente, più che di forza. Salvini ha iniziato ad attaccare sistematicamente Lamorgese da quando si è ritrovato incastrato – e stritolato da sé in una trappola dialettica senza sbocco – nella questione del green pass.

   
Un mese fa, aveva tuonato “ne parleremo quando e se ce ne sarà necessità”. Poco dopo il governo ha deciso che ce n’era necessità. Qua e là si sono scatenate le sgangherate manifestazioni anti green pass, che Lamorgese ha liquidato come “non autorizzate”. Poco dopo Salvini ha lanciato la sua immaginaria Maginot dei 900 emendamenti: il decreto è passato, Salvini ha ingoiato, seppure provando a raccontarla come una vittoria. Lamorgese ha poi fornito un’interpretazione delle norme molto lontana dalla “dittatura sanitaria” di cui i no pass si riempiono la bocca. Gioco, partita incontro.

 

Così Salvini ha cambiato fronte. Ha riscoperto l’immigrazione, il campo di gioco di cui conosce tempi e slogan. “Io le persone le giudico dai fatti e come sbarchi di clandestini stiamo tornando ai numeri disastrosi di qualche anno fa”, ha detto perentorio. Gira attorno alla sua ex isola del tesoro, quando provava a risolvere il problema degli sbarchi bloccando i “taxi del mare” di grillina memoria. Non gli andò bene, ma dire “si dia una mossa” come un bullo al bar è la cosa che gli viene meglio. Anche se Lamorgese gli risponde senza perdere la calma: “Non c’è un’invasione di immigrati”, e lo pungola sventolandogli davanti agli occhi il drappo rosso dello ius soli.

 

Ovviamente, sul campo da tennis della propaganda, Salvini gioca in attacco e Lamorgese è costretta a tener  botta da fondo campo: “Se Salvini ha suggerimenti per bloccare gli sbarchi li accolgo volentieri”. Però in tutta questa esuberanza estiva, in questo girare attorno al Viminale come l’orso alla sua caverna, Salvini ha un problema: non serve.

 

E’ solo un modo per camuffare l’ansia politica. Far cambiare linea al governo? Impossibile. Far cadere il ministro? Meno che meno. L’ex prefetto è il più tecnico dei ministri di Draghi, il più blindato, con la piena fiducia di Mattarella. Così quella di Salvini pare una danza sulla mattonella, una recita in favore del suo bacino elettorale. Lamorgese andrà per la sua strada, firmerà qualche accordo con i paesi del Nordafrica per le emergenze. E Salvini, come per il green pass, proclamerà che è merito suo, ostentando l’allegria dell’orso rimasto senza miele.

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"