l'intervista
Il sindaco di Brindisi: “Da noi ci sono già i primi sbarchi di afghani. Lo Stato non ci lasci soli"
Riccardo Rossi, primo cittadino del capoluogo salentino, ricorda l’approdo di migliaia di profughi da Tirana 30 anni fa e chiede risorse per fronteggiare una possibile emergenza umanitaria dall’Afghanistan
“Nel marzo del 1991 Brindisi accolse migliaia di profughi albanesi. Allora lo Stato lasciò sole le istituzioni locali. Adesso, con il possibile arrivo di migranti dall’Afghanistan, è necessario un coordinamento europeo. Per farci trovare preparati ci vuole organizzazione”: Riccardo Rossi, sindaco del capoluogo salentino, di sinistra-sinistra ma senza tessere di partito, scruta l’orizzonte dell’Adriatico in attesa dei prossimi sbarchi, ma la sua riflessione politica punta su Bruxelles.
C’è una nuova emergenza immigrazione alle porte? “Ultimamente - spiega al Foglio - registriamo una ripresa degli arrivi, oggi sono arrivati nella marina di Tricase i primi profughi afghani. Noi qui abbiamo nella zona Restinco un Cara, dedicato ad accogliere i minori non accompagnati che giungono da Lampedusa. Certo, c’è il tema delle misure anticovid: lì vengono effettuati tamponi e quarantene prima di ridistribuire questi giovanissimi nei vari centri italiani. Poi abbiamo anche i migranti che si muovono verso la Puglia, secondo le stagioni delle raccolte agricole. Nella tarda primavera e in estate registriamo un grande aumento delle presenze di immigrati nel nostro territorio”. La memoria dell’accoglienza di migliaia di albanesi ritorna in queste settimane come un refrain: “L’arrivo da Tirana - argomenta il sindaco che nel 2015 sfidò Michele Emiliano alle regionali candidassi governatore con la coalizione L’Altra Puglia (di sinistra radicale) - è rimasto nella storia di Brindisi. Allora ci fu una assoluta mancanza dello Stato: fu la città, sola, a soccorrere questi profughi. Tutte le famiglie aprirono le loro case, tutti collaborarono con una grande manifestazione di solidarietà”.
La crisi afgana viene da lontano ma è seguita con attenzione da Rossi: “Vent’anni fa militavo nella sinistra postcomunista ed ero contro l’intervento occidentale in Afghanistan, perché non si poteva costruire la democrazia così. La democrazia non si esporta: dopo le Torri gemelle si impose l’ideologia delle guerre umanitarie, anche grazie a immagini di armi di distruzione di massa rivelatesi farlocche. Quell’area tra Bagdad e Kabul fu destabilizzata allora. Dopo 20 anni nei quali gli occidentali hanno costruito rapporti con i cittadini locali, il ritiro - che poteva starci - non doveva avvenire con questa modalità. E’ stata una fuga dell’Occidente, che ha lasciato il popolo in mano ai talebani. E gli islamisti offrono rassicurazioni poco attendibili…”.
Il futuro potrebbe vedere le coste pugliesi accogliere tante “carrette” del mare con uomini e donne in fuga da Kabul o Kandahar: “In questo momento occorre impedire il traffico di esseri umani: ci vogliono corridoi umanitari. Il peso della crisi non deve cadere solo sulle spalle italiane. Tutta l’Europa deve collaborare, condividendo responsabilità”, aggiunge. “Cosa possono fare i comuni? Se arrivano improvvisamente trecento profughi possiamo organizzare soltanto un campo di accoglienza, ma le soluzioni passando dall’assistenza umanitaria e sociale. Ci voglio risorse e interpreti. Con prefettura, forze dell’ordine e servizi sociali possiamo garantire una prima accoglienza”, chiarisce ancora. L’auspicio finale: “Dobbiamo farci trovare preparati, d’intesa con governo e Regioni. Le nostre comunità si dividono sull’immigrazione, ma la parte disponibile ad accogliere è silenziosa, fa meno rumore ed è operativa con associazioni, Caritas e parrocchie, già rodate nell’emergenza Covid nel supportare i deboli. L’associazionismo è un grande patrimonio italiano e saprà fare la sua parte in una prossima emergenza umanitaria dall’Asia”, conclude Rossi.