"L'America è un Polifemo accecato. L'Europa punti su una sua difesa comune". Parla Parisi
L'ex ministro della Difesa prodiano riflette sul discorso di Biden. "E' l'inizio di una fase nuova: dall'America innanzi a tutti, all'America è il tutto. Ormai Washington guarda solo al Pacifico. L'Ue si doti di un suo strumento autonomo che non dipenda solo dalla Nato"
L’ha ascoltato e non gli è piaciuto. E però, pur non apprezzandolo, o forse proprio per questo, il discorso pronunciato da Joe Biden è, a giudizio di Arturo Parisi, uno di quei discorsi che segna un’epoca, una stagione, il passaggio da una fase storica all’altra. “Si potrebbe dire che l’Oceano Atlantico si è improvvisamente allargato, e quello Pacifico si è invece ristretto. La marcia secolare verso il lontano West è sfociata definitivamente nel confronto con l’ormai vicino Est. Troppo vicino”, dice il vecchio leader ulivista, prodiano in purezza, che proprio durante il secondo governo del Professore ha guidato il ministero della Difesa in anni, tra il 2006 e il 2008, in cui la guerra in Afghanistan era ancora una guerra, e forse nessuno poteva immaginare un epilogo così inglorioso. Ma il cambiamento, spiega Parisi, non è iniziato oggi. “Dagli Usa ‘innanzi a tutti’”, quelli orgogliosamente alla testa della Nato e dell’Occidente democratico, “siamo prima passati agli Usa ‘innanzitutto’, e ora agli Usa come ‘il tutto’”. Che è forse un modo europeo, meno gradasso e più preoccupato, di declinare l’“America first”. “A stare al Biden di ieri – prosegue Parisi – l’attacco alle Twin Towers del quale ci apprestiamo a celebrare il ventennale somiglia sempre più all’accecamento di Polifemo nell’Odissea”.
Ma Polifemo finì con lo scagliare massi a casaccio contro un nemico a cui non sapeva dare un volto e un nome. E' davvero a questo punto, l'America? “Non ne gioisco, ovviamente. Posso solo dire che se è vero che senza l’accecamento degli Stati Uniti non riusciremmo a spiegare niente del modo, diciamo, scomposto col quale si sono mossi in questo tragico ventennio, è il momento di riflettere sul contributo che i paesi europei hanno dato a questa tragedia. Penso infatti che senza le nostre azioni e le nostre omissioni le cose potevano andare diversamente. E comunque, anche se può non piacerci, a uscire sconfitti dall’Afghanistan non sono i soli Stati Uniti ma l’intero Occidente, sia che alle decisioni americane si sia partecipato attivamente, sia che ci si sia limitati a subirle passivamente. Noi, l’Europa, non siamo la Cina e la Russia che, almeno per un momento, possono limitarsi a cedere alla tentazione di godersi lo spettacolo della sconfitta americana. Questo è il momento di raccogliere e mettere a frutto quel senno di poi del quale le fosse traboccano”.
Azioni e omissioni, dunque: che peccati ha da espiare, insomma, l’Unione europea? “Il ritardo nella predisposizione di uno strumento di difesa comune. Ma ancor prima il logoramento di questa prospettiva a causa della cantilena defatigante sulla necessità di dotarsi di uno strumento alla quale non seguono adeguati atti concreti. Un errore in cui si sono specializzati gli europeisti che preferiscono denunciare i ritardi invece di sostenere i pochi passi fatti comunque avanti”. Ed è pensabile allora, e magari auspicabile alla luce della rotta di Kabul, pensare a un difesa europea rafforzata, che diventi autonoma e che sappia prescindere da quella Nato di cui già due anni Emmanuel Macron sentenziò la morte cerebrale? “Difficile, molto difficile. Senza una riconoscibile guida politica può finire velocemente in rissa. Ma non vedo alternative. Purché non si perda di vista la necessità di non abbandonare gli Stati Uniti alla propria solitudine. Assieme al Mediterraneo, anche se più largo, l’Atlantico è la principale sponda che definisce la nostra comune identità e la nostra vocazione”.