l'intervista

"L'Europa si dia un difesa comune. Serve una Nato meno americana". Parla Pinotti

Valerio Valentini

"La guerra in Afghanistan è finita com'è iniziata: con un atto unilaterale degli Usa. Ma in vent'anni l'Ue doveva fare di più. Ora, dopo la Brexit, non ci sono più alibi: serve un coordinamento della nostra Difesa, anche per evitare che la Nato sia troppo appiattita su Washington". L'intervista all'ex ministra

Sorpresa? “Sì, sorpresa”. Delusa? “Delusa, certo. Perché quel discorso di Joe Biden sembra la confutazione della promessa con cui era arrivato alla Casa Bianca, quell’America is back che aveva fatto credere che la stagione dell’isolazionismo statunitense di Trump fosse finita. Certo, il ritiro era già stato deciso prima dell’ascesa del presidente democratico, ma le sue parole sono parse in sostanziale continuità con la scelta del suo predecessore. In più, quello che doveva essere un disimpegno ordinato è diventato un ritiro disastroso”.

 

Roberta Pinotti parla con la fermezza di chi, da ex ministra della Difesa, la missione in Afghanistan la conosce bene. E ne conosce bene le evoluzioni, i cambiamenti, i travagli. “E’ finita così come è cominciata”, ci dice la senatrice del Pd. “E’ finita, cioè, con la reiterazione dello stesso peccato originale dell’inizio. Perché nel 2001, dopo l’attentato alle Twin Towers, c’erano tutti gli estremi per una missione sotto una guida multilaterale, tanto che per la prima volta è stato attivato l’articolo 5 del trattato della Nato: di fronte a un’aggressione ai danni di un alleato, gli altri paesi del Patto si mobilitano a sua difesa. E invece no. Bush inizialmente volle  una ‘coalizione di volenterosi’ a guida americana. Una scelta di unilateralismo poi corretta successivamente, quando da Enduring freedom si passò alla missione Isaf. Ed è, di fatto, la stessa dinamica che ha portato Trump e Biden a decidere un ritiro con modi e tempi che hanno lasciato perplessi molti paesi europei”.

 

E però, se è vero che a distanza di vent’anni s’è riprodotto lo stesso errore, viene da chiedersi cos’abbia fatto intanto l’Europa. “Per anni la volontà di creare una Difesa comune europea si è scontrata con la contrarietà di alcuni paesi, come la Gran Bretagna. Ora, con la Brexit, si è  aperto un nuovo spazio.  E il tempo degli alibi è finito. La Difesa comune europea – spiega Pinotti – non è, sia  chiaro, uno strumento pensato per mettere in discussione la Nato, ma è un passo obbligato perché l’Europa esista nello scacchiere geopolitico e perché possa contare di più  nell’interlocuzione leale coi nostri alleati americani. Ho ascoltato le parole del segretario generale Stoltenberg”, prosegue Pinotti. “Ricalcano assai da vicino quelle di Biden. Questo non mi stupisce, conoscendo bene le dinamiche interne all’Alleanza. Ma rafforza la mia convinzione che una Nato meno schiacciata  sulle posizioni americane saprebbe contemperare le visioni strategiche statunitensi con quelle europee, nell’interesse di tutti”.

 

Italia e Germania in questo sentiero sembrano più avanti degli altri. “Italia e Germania sono stati i paesi che hanno posto con maggiore nettezza i propri dubbi rispetto alle modalità e alle tempistiche del ritiro dall’Afghanistan. Ma la loro comunanza di vedute non è di ora. Sulla Difesa comune non ci possono essere fughe in avanti solipsistiche, ma l’urgenza esiste ed è davanti agli occhi di tutti. Se la convinzione di Roma e Berlino, così come la determinazione della Francia espressa nel discorso di insediamento di Macron, e la forte intesa che il nostro paese ha con la Spagna sulle politiche per il Mediterraneo, possono costituire il motore propulsivo di un’intesa da estendere ovviamente anche agli altri  paesi membri, sarebbe un fatto molto positivo”.

 

Intanto dall’Afghanistan arrivano segnali di resistenza antitalebana. Pensabile un nostro ripensamento? “Riaprire una missione appena conclusa non mi pare  realistico. Ma la consapevolezza dei sacrifici fatti dai nostri soldati non va dispersa. La velocità con cui il paese è capitolato nelle mani dei talebani non deve far pensare che tutto il popolo afghano rinneghi i cambiamenti di questi anni sui diritti. I polpastrelli colorati d’inchiostro delle donne afghane all’uscita dei seggi elettorali, nel 2004, ci richiamano a un impegno che non va abbandonato. E bene fa il presidente Draghi a proporre di usare il G20 per vincolare i principali leader mondiali, compresi quelli che, come Cina e Russia, stanno attivando un dialogo con i talebani, a esigere dal nuovo regime il rispetto dei diritti civili conquistati”.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.