Tra Roma e Kabul
L'accordo tra Usa e talebani a Kabul traballa. E Draghi punta sul G20
CI mancava solo Grillo. Sul suo blog, il comico condanna tutti i governi americani e italiani, paragonando Conte a Berlusconi e definendo Di Maio uno "yes man" come Frattini e Alfano
Cresce la tensione all'aeroporto, e gli Usa lanciano l'allerta: "Non garantiamo accesso allo scalo". I miliziani continuano a sparare. Il premier intensifica i contatti diplomatici: l'obiettivo è convocare il forum mondiale entro metà settembre. La polemica su Conte
Che l’equilibrio fosse fragilissimo, a dispetto degli accordi presi, lo si era in fondo capito già martedì pomeriggio. Quando, per consentire che la riunione convocata dai vertici americani all’aeroporto di Kabul insieme ai responsabili dei contingenti europei, i capi talebani presenti avevano preteso che tutti entrassero nel capannone disarmati. Ne erano seguite rimostranze generali, e dunque attimi di tensione. Poi i miliziani avevano desistito, parlando di un malinteso. E però, quando stamattina alcune jeep hanno iniziato a scorrazzare per le vie intorno all’aeroporto, spingendosi fin dentro lo scalo, coi jihadisti sul cassone che brandivano i loro kalashnikov quasi a intimidire la folla di disperati che smaniava per poter essere messa a bordo di un qualche aereo, allora la preoccupazione s’è diffusa davvero. Gli americani hanno spiegato ai nostri militari che l’accordo regge, che almeno fino a fine agosto i talebani garantiranno un sostanziale lasciapassare a tutti, non interferiranno con le operazioni di espatrio. Ma i resoconti delle truppe che operano all’aeroporto dicono di una polveriera incandescente: basta un incidente per innescare il delirio.
E’ anche per questo che i contatti diplomatici tra i leader del G7 si sono intensificati. E’ anche per questo che Mario Draghi, che ieri ha parlato a telefono con Vladimir Putin ed Emmanuel Macron e che conta di stabilire un contatto diretto anche con la Casa Bianca e con Pechino nelle prossime ore, spera che davvero il G20 straordinario che ha pianificato si riesca a tenere non oltre la metà di settembre. Dovrà essere l’occasione, quella, per definire i requisiti minimi di un eventuale dialogo col governo talebano, e imporli anche a chi, come Russia, Cina e Arabia Saudita, quel riconoscimento sarebbe disposto a concederlo agevolmente. Vanno invece pretesi il rispetto dei diritti delle donne e quelli delle minoranze etniche. Si prospetta poi la volontà di mantenere sul suolo afghano delle rappresentanze internazionali in qualità di osservatori: l’Unhcr ha già annunciato di voler mantenere il proprio presidio, e a livello di G7 si è disposto un rifinanziamento iniziale della missione (l’Italia ha disposto per ora 250.000 euro) a scopi umanitari.
Insomma, andrà imposto quel minimo di garanzie che altri pretendono di aver già visto nelle strumentali dichiarazioni dei talebani. E anche per questo si spiega la polemica che ha investito Giuseppe Conte: il quale mercoledì sera ha spiegato che “dobbiamo coltivare un serrato dialogo col nuovo regime, che appare, quantomeno a parole, su un atteggiamento abbastanza distensivo”. E tanto è bastato non solo per scatenare le rimostranze dei renziani, ma anche quelle del Nazareno, dove c’è chi fa notare, una volta di più, le “sconvenienti assonanze” tra le parole dell’ex premier e quelle contenute nei dispacci diramati dal regime cinese. E quando Lia Quartapelle, responsabile Esteri del Pd, arriva a stigmatizzare le dichiarazioni dell’ex premier, si capisce che la tensione è reale. (E ci mancava poi solo Beppe Grillo. Che, sul blog, condivide un articolo che condanna tutti i governi americani dal Dopoguerra in poi, e sull'Afghanistan denuncia la "politica scellerata" portata avanti "da tutta la filiera dei primi ministri da Berlusconi, Prodi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte, Draghi sempre supportati dai Presidenti Ciampi, Napolitano, Mattarella e resa operativa dalla sequela di ministri degli esteri, veri yes men, da Frattini, Fini, D’Alema, Bonino, Alfano fino a Di Maio").
E non è una mera questione di baruffa politica. “E’ che a Conte sfuggono non solo i 20 anni di sacrifici e di lutti, il caos e la disperazione di chi sarà costretto a rimanere e dunque in buona sostanza la natura delle idee che guidano le scelte del regime dei talebani”, dice Giorgio Mulè, sottosegretario forzista alla Difesa, “ma sfugge soprattutto la situazione drammatica che si vive a Kabul”. E lo dice, Mulè, proprio mentre il Dipartimento di stato americano fa sapere che tutti i cittadini statunitensi e i collaboratori afghani presenti a Kabul devono recarsi “il prima possibile all’aeroporto”, perché gli Usa “non sono in grado di garantire una via d’arrivo sicura” allo scalo.
Insomma ciascuno tenterà di rimpatriare quante più persone possibile, finché si potrà. “L’Italia è pronta a far espatriare 2.500 civili afghani”, dice Di Maio. Ma non c’è solo da pensare ciascuno ai propri. Josep Borrell, l’Alto rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri, ieri ha spiegato che a Kabul ci sono ancora almeno 400 collaboratori afghani di Bruxelles. “E’ inevitabile che questi esiliati andranno redistribuiti”, ha detto. La Spagna s’è offerta di accoglierne 100. Sugli altri, ancora, c’è una grossa incognita che il Consiglio dei ministri degli Esteri europei, tre giorni fa, non ha sciolto. Domani, venerdì, tocca ai responsabili Esteri della Nato, e in tanti attendono di capire se l’americano Tony Blinken confermerà l’impegno a prolungare la permanenza dei 5.000 marines a Kabul oltre agosto, e soprattutto con quale prospettiva.