Giuseppe Conte (LaPresse)

"Frattanto"

Conte, salvo intese

Salvatore Merlo

Fattosi segretario, l’ex premier gestisce l’M5s come faceva col governo: rimanda a settembre

Come nel film di Terence Hill, “continuavano a chiamarlo frattanto”. Perché Giuseppe Conte, da maggio segretario politico del M5s, ancora e sempre trova la sua misura nel rinvio, nel pensiamoci dopo, in pratica nel languore come risorsa da contrapporre a ogni ostacolo si pari lungo la strada. Enrico Letta è diventato segretario del Pd il 14 marzo, e una settimana dopo aveva già composto la sua segreteria e la sua squadra. Conte invece è capo politico già da tre mesi, ma quando gli hanno chiesto della sua segreteria – chi saranno i vice? Chi si occuperà di immigrazione e chi di economia? – ha aperto un’infinita e arzigogolata parentesi verbale sintetizzabile così: “Deciderò a metà settembre”. Perché proprio a metà settembre? Boh, lo sa Iddio. 

 

Il fatto è che Conte sfoglia la margherita dei possibili vicesegretari e delegati d’area, passa in rassegna i volti della strana classe dirigente grillina, ma dietro ogni faccia ecco un problema. Un guaio. Un’insidia. Lucia Azzolina vicesegretario, sì, ma non è amata dai gruppi parlamentari. E poi che succede se quelli si mettono di traverso? Sono dolori. Paola Taverna, sì, certo, ha imparato a vestirsi e persino a parlare in italiano (o quasi), però è malvista dai deputati. C’è poi Mario Turco, il senatore che Conte adora, ma Turco purtroppo sta sulle scatole a tutti gli altri proprio in ragione di questa simpatia speciale. Dunque che fare? Perfetto sarebbe poter metterci dentro tutti, ma proprio tutti. Non si offenderebbe nessuno. Un’idea che deve avere sfiorato la mente di Conte. Tanto è vero che ha escogitato per i 5 stelle un sistema di governo che definire pletorico sarebbe un eufemismo (tre vicepresidenti, nove membri di segreteria, una direzione politica di oltre venti persone), insomma una folla che ricorda la parata che volle tenere nel 2020 a Villa Pamphilj, quando da premier organizzò quella cosa sobriamente battezzata “Stati generali” per il rilancio dell’Italia e che durò circa dieci giorni, più del concilio ecumenico di Nicea. Insomma i posti previsti per statuto in segreteria sono tantissimi, ma non abbastanza. E ogni incarico che fa felice qualcuno ne scontenta un altro. Solo che Conte non vuole scontentare. Teme il logoramento, ipotizza le elezioni anticipate e non vorrebbe arrivarci indebolito dalla guerriglia dei desperados grillini giunti al capolinea esistenziale. Dunque perché scegliere? D’altra parte quelli per ora gli ubbidiscono proprio perché non decide, ma anzi li illude, li lascia sognare una medaglietta, un pennacchio colorato, un sonaglino e un posto in segreteria.

 

Come ben si capisce, c’è del metodo e del genio nell’indecisione. Attività nella quale Conte eccelle sin dai tempi in cui, da presidente del Consiglio, rinviava la riforma dei decreti sicurezza o lasciava che tutti pasticciassero a piacimento con il piano vaccinale e il Recovery fund. L’importante era che i partiti non rompessero le scatole a lui. Un artista. Persino quando sembrava aver finalmente deciso qualcosa, ecco che – zac! – faceva apporre in calce ai provvedimenti la formula provvidenziale: “Approvato, salvo intese”. Proprio come la segreteria del M5s: si farà a metà settembre... salvo intese. Ben sapendo che quando finalmente arriverà settembre ci sarà modo di rinviare. Ancora, fino a ottobre. A dopo le amministrative. Neutralizzare, anestetizzare, aggirare, addormentare. Secondo un modello che non è certo Beppe Grillo e nemmeno Cavour, ma forse il manzoniano conte (nomen omen) duca Don Gasparo Guzman, che faceva “perdere la traccia a chi che sia”.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.