grillismo rinnegato
"Dopo Layla Pavone, il M5s candidi anche Travaglio"
“Fanno le loro buone carriere obbedendo al padrone, poi vengono premiati per la loro fedeltà”, diceva il M5s dei giornalisti in politica. Oggi la manager legata al Fatto Quotidiano è la candidata grillina a Milano. Parlano Mulè e Cangini
L’ultima capriola, o più probabilmente l’ennesimo passo verso la normalizzazione grillina, si compie a Milano. Si chiama Layla Pavone ed è la candidata del Movimento 5 stelle per la corsa a sindaco. Fino a qualche giorno fa sedeva nel Consiglio d’amministrazione di Seif, la società che edita il Fatto Quotidiano. Niente di strano, se non fosse per questo ragionamento che un tempo risuonava nelle stanze grilline: “Fanno le loro buone carriere obbedendo al padrone, poi vengono premiati per la loro fedeltà”. Era la vigilia delle elezioni politiche, a febbraio 2018, e il riferimento era a certi giornalisti, direttori di testate nazionali, prossimi al debutto nei partiti. Le parole sono di Luigi Di Maio. “Chi? Quello dell’abbiamo abolito la povertà? Quello del sindaco Uggetti e poi del garantismo?”. Non trattiene l’ironia Giorgio Mulè, oggi sottosegretario alla Difesa ed ex direttore di Panorama, prima di diventare deputato in quota Forza Italia: “Non basterebbe un libro per riassumerne tutte le giravolte. E’ come un parallelepipedo dal punto di vista delle personalità”.
Da allora però sembra passata una vita, l’orizzonte è cambiato, facendo emergere tutte le ambiguità. “Non parliamo di ère geologiche, sono bastati appena tre anni. Quella logica non era solo fallace, ma ha anche disvelato tutte le ipocrisie della loro narrazione”, è il pensiero di Mulè, che descrive il meccanismo grillino così: “La solita fatwa contro certe personalità, fatta di polemiche sterili e opportuniste”. Per di più con risultati controproducenti: “Quegli attacchi alla fine sono stati una benedizione. Per me – scherza il sottosegretario – questa legislatura è stata un’enorme soddisfazione. Chissà che la prossima volta non arrivi a fare il ministro”. Nel frattempo, non bastasse il percorso politico di Mulè, il Movimento ha più volte smentito se stesso, arruolando nelle proprie liste elettorali svariati personaggi del mondo dell’informazione: si va dall’ex iena Dino Giarrusso a Gianluigi Paragone, un passato a La 7 oltre che alla direzione di La Padania, fino a Emilio Carelli, ex direttore di Sky Tg 24, e a Elio Lannutti, di cui, più che le pubblicazioni, la cronaca recente ricorda i tweet antisemiti. Inutile dire che si trattava, in questi casi, di candidature mosse dalla pura e semplice vocazione politica.
Ma i tempi, oggi, sono cambiati e pare che per Layla Pavone si sia speso in prima persona Giuseppe Conte, rinnegando le indicazioni della base grillina milanese che avrebbe preferito la consigliera uscente Elena Sironi. E questo nonostante le critiche che Pavone gli aveva rivolto ai tempi del governo rossogiallo, di cui si trova traccia in diversi suoi tweet. “Una candidatura legittima”, commenta Andrea Cangini, ex direttore di Quotidiano Nazionale e Resto del Carlino tra il 2014 e il 2018 e oggi senatore di Forza Italia: “Ma è l’ennesimo tradimento del grillismo delle origini. Si sono finalmente liberati di tutto quell’armamentario ideologico”. Anche Cangini fu bersaglio della propaganda elettorale grillina e di certa stampa a causa del suo ruolo: “Erano fuori da ogni logica, ma quanto più abdicano a se stessi, tanto più si avvicinano alla realtà. Non può che essere un passo in avanti”. È in questo senso, pragmatico, che il senatore interpreta la scelta grillina. “Semmai questa candidatura ci dice qualcosa sugli interessi del M5s, legati all’editoria del web, alle grandi lobby del digitale, di cui Crimi è uno i referenti”.
Pavone, racconta il curriculum, è esperta di innovazione e nuove tecnologie, a suo agio tra start up, comunicazione e web, al di là delle recente esperienza con il Fatto Quotidiano, un giornale che ha spesso giocato di sponda con il Movimento nel veicolare alcuni messaggi. “Per il Fatto – ragiona il forzista – è l’ennesima contorsione, dopo aver scommesso su personaggi come Ingroia o Grillo, che si sono rivelati mistificatori e avvelenatori di pozzi”. Tant’è, conclude Cangini con un battuta, “auspicherei che anche Travaglio si candidasse, così da capire magari che la politica è una cosa seria. Si renderebbe conto di quanto spesso un certo tipo di retorica sia deleteria, in quanto apre la strada all’antipolitica e ai cialtroni”. A Torino sono avvisati.