Per un Draghi al Quirinale
Un argine contro gli estremismi. Una garanzia per le riforme. Uno scudo contro i sabotatori dell’Europa. Cinque mesi sono tanti, ma è ora di costruire un whatever it takes per spedire Draghi al Colle
Non sarà semplice, non sarà scontato, non sarà automatico e non sarà una corsa priva di ostacoli, ma di fronte a una domanda che nei prossimi mesi riecheggerà spesso nei corridoi della politica occorre fare una scelta precisa e capire perché un’assicurazione sulla vita, per l’Italia, è meglio averla per i prossimi sette anni piuttosto che solo per i prossimi due. La domanda a cui facciamo riferimento è quella che riguarda il futuro di Mario Draghi ed è una domanda di fronte alla quale oggi si trovano grosso modo tre risposte diverse. La prima è quella di chi si augura che l’ex governatore della Bce non vada al Quirinale per lasciarlo a Palazzo Chigi fino al termine della legislatura e poi sbarazzarsene con cura. La seconda risposta è quella di chi si augura che il tandem Mattarella-Draghi possa guidare l’Italia nei prossimi sette anni, con la speranza che l’attuale presidente del Consiglio possa essere il capo del governo anche nella prossima legislatura. La terza risposta è quella di chi si augura che l’Italia faccia tutto il necessario per non perdere per strada Draghi tra due anni, quando finirà questa pazza legislatura, ed è quella di chi si augura, come noi, che i leader politici usino il nome di Draghi non per risolvere i problemi dei partiti ma per provare a risolvere i problemi dell’Italia.
Non sarà semplice, non sarà scontato, non sarà automatico e non sarà una corsa priva di ostacoli – perché i partiti faranno i loro giochi, perché il Pd ha scelto di trasformare Draghi un’espressione della destra, perché la stagione della post emergenza renderà le scelte di Draghi più sindacabili rispetto a qualche mese fa, e dunque più divisive – ma non ci vuole molto a capire che occasione incredibile avrà l’Italia all’inizio del prossimo anno quando si ritroverà a scegliere il successore di Sergio Mattarella al Quirinale. A prima vista, per chiunque abbia a cuore il futuro dell’Italia, la sua stabilità, la sua ambizione, la sua centralità in Europa, potrebbe apparire maldestro non tifare per un bis del tandem Mattarella-Draghi. Eppure, se ci si riflette un istante, tifare per il tandem di successo che ha permesso negli ultimi mesi all’Italia di diventare un piccolo modello per il resto d’Europa significa scommettere su uno scenario difficile da immaginare, che è quello di un bis di Draghi a Palazzo Chigi nel 2023 a prescindere da quello che sarà l’esito delle prossime elezioni.
Se si sceglie invece di mettere da parte il sogno e confrontarsi con la realtà non si farà fatica a rendersi conto che spedire al Quirinale per i prossimi sette anni colui che ha scritto il programma economico da 191 miliardi di euro che dovrà guidare il nostro paese nei prossimi sei anni è qualcosa in più di una scommessa politica: è una scelta naturale, trasversale come lo è questo governo, che potrebbe permettere all’Italia di trovare nei prossimi anni una nuova stabilità riformistica utilizzando il vincolo esterno dell’Europa non come un nemico da combattere ma come un alleato utile per cambiare il paese. Sette anni di Draghi al Quirinale possono aiutare l’Italia a non perdere la rotta sul Pnrr, possono aiutare l’Europa a vincere la scommessa sulla mutualizzazione dei debiti, possono contribuire a trasformare gli strumenti europei adottati per governare la pandemia in qualcosa di più importante di una piccola parentesi e possono aiutare l’Italia ad avere uno scudo in grado di proteggere il paese nei prossimi anni dalle non impossibili scorribande populiste.
Mandare Draghi al Quirinale converrebbe al centrodestra, i cui leader avrebbero buoni margini per trasformare le prossime elezioni in una competizione utile per stabilire chi andrà a Palazzo Chigi, e converrebbe anche al centrosinistra, i cui leader, in caso di sconfitta alle elezioni, potrebbero fare affidamento sulla presenza al Quirinale di un altro argine mica male contro ogni forma di estremismo politico. La corsa è ancora lunga, cinque mesi sono tanti, gli ostacoli sono infiniti, i trabocchetti non mancheranno, ma a meno di duecento giorni dalla partita del Quirinale una certezza oggi c’è: sette anni sicuri nelle mani di Mario Draghi sono preferibili a due anni e poi chissà.