Salvini il coyote

Salvatore Merlo

Funziona così: lui sposa una causa, suscita aspettative, poi arriva Meloni (“facciamolo”) e lui precipita. Ecco come la leader di Fratelli d'Italia lo manda giù per il burrone: dal green pass alla sfiducia a Lamorgese

Lui comincia a inveire contro Roberto Speranza, “deve cambiare marcia”. Scoppi e petardi. Allora lei annuncia una mozione di sfiducia contro Speranza. E lui che fa, la vota? Ma no. Certo che no. L’inesausto zuzzurellone si dimentica di Speranza e si mette a urlare contro il green pass: “E’ una cagata pazzesca”. Così arriva lei, di nuovo, paziente come una torturatrice, e presenta decine di emendamenti in Parlamento contro il green pass. E lui che fa? Va in cortocircuito. Con movimento meccanico della testa si guarda intorno, vede passare Luciana Lamorgese, si disinteressa del green pass e comincia a twittare contro il ministro dell’Interno “incapace”. Sicché lei, sempre più crudele, presenta una mozione di sfiducia anche contro la Lamorgese. Ed ecco che lui viene travolto dalla disperazione. Letteralmente. Infatti si ritira dall’assalto alla Lamorgese, diventato ormai una cosa seria, per afferrare la prima spacconata qualsiasi a tiro: “Non permetterò mai il ritorno alla riforma Fornero”. Bum! Da giorni Giorgia Meloni è diventata il fact checking di Matteo Salvini. Eterno schema, eterna tenaglia.

Lui la spara grossa, lei lo inchioda (“vediamo se vai fino in fondo”), e lui se ne va a urlare un’altra cosa da un’altra parte. Tipo venditore ambulante. E qui si pone però un problema. Benché infatti Salvini sia un grossista dell’iperbole, se continua così potrebbe esaurire tutto il campionario delle sparate possibili. Conquistando il record di aver sperimentato l’intera tavola periodica della smargiassata. E non in anni, ma in settimane.

 

Inseguito, anzi braccato, dalla sua alleata/concorrente Giorgia Meloni, Matteo Salvini si muove sul proscenio politico come una specie di trottola. Senza posa. Obbedendo forse a un presentimento piuttosto che a convinzioni o aspirazioni. Persino i suoi amici adesso raccontano che non trova la sfera, l’idea, l’oggetto fisso che possa nutrire e riattivare la sua perenne e un tempo straordinaria campagna elettorale permanente. Con Luigi Di Maio, ai bei tempi del governo gialloverde, gli veniva facile. Ora non più. La vita di tutti i giorni è un pane duro da strappare a morsi. E poiché non gli riesce d’intestarsi nulla dell’azione di governo, cosa per la quale comincia a incolpare il povero Giancarlo Giorgetti, ecco che il segretario della Lega si aggrappa a ogni cosa che gli capiti a tiro.

Lunedì, addirittura, a Palazzo Chigi, di fronte a Mario Draghi si è messo a perorare la fondamentale causa della separazione delle carriere tra carabinieri e guardia forestale. Per dire. E il giorno seguente, cioè ieri, ha zampettato su tutti gli argomenti social/polemici possibili, come un tordo sulle siepi: dal reddito di cittadinanza da cambiare fino alla riforma Fornero passando per l’“emergenza bare” a Palermo. Il meccanismo della quantità affannosa, che in passato tanta fortuna gli ha portato, da un po’ di tempo va a sbattere su un muro chiamato Meloni. Ed è un bel guaio. Infatti lui  sposa una causa, alza i toni, la cavalca, suscita aspettativa a destra e a manca, solo che come una guastafeste poi arriva lei che finge di prenderlo  sul serio e gli dice: “Va bene, facciamolo”. “Sfiduciamo Speranza”, “fermiamo il green pass”, “mandiamo via la Lamorgese”. Ma lui mica vuole farle sul serio le cose che dice. Non può. Sta al governo del paese. Dunque scappa dall’altra parte. E  incapace di cambiare registro, di adattarsi alla logica del governo, di individuare dei risultati politici da conquistare nell’azione dei suoi ministri, s’inventa un’altra trovata di marketing. Finché non arriva ancora Meloni, e lui casca nel burrone. Di nuovo. Continuamente. Lo chiameranno Salvini  il coyote.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.