Contro il Pd subalterno
E’ ora di combattere contro la scorciatoia identitaria del no e contro la politica che costruisce consenso solo parlando male degli altri. La sveglia che serve per salvare l’Italia dai nazionalismi di ritorno. Un appello
L’ultima chicca è stata la frase sentenza “il green pass uccide l’economia”. Dai tanti leader della destra italiana in questi mesi abbiamo sentito davvero di tutto. Io sono stato duro e critico nei confronti del Gruppo Dirigente Partito Democratico e confermo un giudizio severo contro troppi atteggiamenti legati ad interessi personali e visioni di parte che hanno indebolito la forza e la coerenza del messaggio e di una proposta unitaria del Pd. Mi sono dimesso per dare un colpo, che spero sia servito. È stato utile anche a recuperare uno spazio di iniziativa che una lotta fratricida aveva compromesso. Ma ora attenzione a non permettere che questo stato di cose, producendo implosione politica, agevoli il tentativo in atto di rileggere la storia. Un tentativo che omette passaggi fondamentali di questi anni. Occorre reagire. E occorre rivendicare la nostra funzione: sì, siamo stati noi. In questo Paese smemorato, in cui tutto passa e si scolora in fretta, forse è il momento di dirlo ad alta voce: siamo stati noi democratici, in tanti snodi cruciali della storia d’Italia, a mettere in sicurezza il Paese e garantirgli un futuro. Lo abbiamo fatto durante la più grande crisi sanitaria ed economica del dopoguerra, quando l’Italia ha rischiato di essere travolta: e invece ha resistito e si è messa nelle condizioni di rialzarsi.
Riavvolgiamo velocemente il nastro del passato: dall’osceno balletto delle forze di destra sulla questione dei vaccini, del coprifuoco e dei green pass. Tutti, persone, scienza, politica, Stati, all’inizio siamo stati colpiti e confusi dall’enormità e novità di quanto stava accadendo. Possiamo aver commesso errori certo, chi non ne avrebbe commessi? Ma ogni nostra scelta ha avuto come faro la protezione e la tutela della vita e della dignità delle persone.
Mentre il pensiero populista e nazionalista resisteva in nome di un’idea distorta, egoistica e disumana della libertà: strizzando l’occhio ai No Pass e ai No Vax. Siamo stati noi a difendere l’autentica libertà per tutti di tornare a vivere, incontrarci, viaggiare, fare impresa; contrapponendoci all’ostinazione di una minoranza che rifiutava e ancora rifiuta lo straordinario frutto della ricerca scientifica che ci permette di lottare contro il Covid e di sconfiggerlo. E ancora siamo stati noi a sostenere che le regole dei comportamenti e le mascherine erano la sola garanzia per riprendere al più presto le attività economiche e sociali.
Insomma: questi mesi durissimi di emergenza hanno contributo a far cadere illusioni e bugie, o meglio l’illusione che il compito della politica sia solo quello di cavalcare i problemi, mentre sono emerse le ragioni del pensiero progressista. L’emergenza sanitaria ha mostrato, infatti, la centralità di un buon funzionamento della sanità pubblica, dell’istruzione pubblica, della ricerca e della scienza e dei sistemi di welfare universalistici e della collaborazione innanzitutto con l’Europa. Così come, stavamo nel giusto nel sostenere la necessità di una svolta radicale del mondo imperniata su valori collettivi e sul principio della sostenibilità ambientale e sociale. E stavano nel torto coloro che hanno negato persino l’emergenza climatica e ignorato l’insopportabile aumento delle disparità e delle diseguaglianze a cominciare da quella di genere.
Siamo stati la prima democrazia occidentale ad affrontare questo dramma. Con il governo che abbiamo sostenuto nei due anni passati, l’Italia ha proposto un modello di lotta al contagio che successivamente è stato adottato in tutta Europa: lockdown mirati, in base all’andamento epidemiologico, regole stringenti di sicurezza, alle quali i cittadini italiani hanno risposto con grande responsabilità, Covid hospital, efficace sistema di tracciamento e monitoraggio. Un sistema tutto nuovo organizzato in una situazione di pandemia, la cui efficacia è stata elogiata anche al livello internazionale, dalle istituzioni europee come dai media. E, a proposito del nostro continente, siamo stati sempre noi democratici a ridare all’Italia una collocazione pienamente europeista e soprattutto saldamente atlantista, contrastando la stagione della demagogia e confusione sovranista, pericolosa e che alla fine non corrisponde affatto all’interesse nazionale.
E proprio perché europeisti e democratici, siamo stati noi a batterci per l’Europa unita che è finalmente emersa durante i mesi dell’emergenza e che, anche grazie a noi, ha messo in campo risorse mai viste prima per ricostruire e dare alle nostre comunità, specie alle generazioni più giovani, un modello di sviluppo nuovo e più resistente, anche perché più giusto e rispettoso dell’ambiente. In grado di superare le distorsioni del passato.
Andando con il pensiero ancora indietro, ricordo i passaggi cruciali che hanno visto protagonisti i grandi leader democratici: il Presidente Giorgio Napolitano, garante dell’unità del Paese, mentre coloro i quali oggi gridano “prima gli italiani”, allora auspicavano la secessione, brindavano al dio Po. E prima ancora, la svolta della moneta unica, che noi democratici sostenemmo assieme al Presidente Carlo Azeglio Ciampi, sconfiggendo chi descriveva l’Europa unita esclusivamente come una gabbia senza prospettive. Insomma, siamo stati noi democratici l’architrave della Repubblica. So che i riconoscimenti ex post non sono moneta che paga in politica. Né amo i leader che rivolgono troppo spesso lo sguardo al passato. Eppure il nostro percorso, non privo di cadute e di errori, va ricordato e rivendicato. E ci pone grandi responsabilità per l’avvenire.
A questo punto la domanda è “ma allora perché siete inchiodati al 20% dei voti?”. Classico modo di porre il tema da parte di chi nella sua vita non si è mai cimentato con la fatica della raccolta del consenso magari perché da sempre nominato ed eletto grazie a vittorie di altri. La politica, anche quella del PD di questi tipi è super affollata. Ma il problema indubbiamente c’è. Noi godiamo di un consenso in gran parte dovuto alla nostra affidabilità nazionale. Alla nostra responsabilità appunto. Fatichiamo, da tempo, a scegliere un grande progetto nazionale nel quale l’Italia possa riconoscersi e vedersi rappresentata.
Le politiche populiste che raccontano e cavalcano i problemi sono più semplici rispetto alle politiche popolari che quei problemi hanno l’ambizione di risolverli. E poi non c’è dubbio di errori ne sono stati commessi molti. Uno per tutti aver contrapposto impresa e lavoro. Si è caduti nell’errore drammatico di pensare che difendere le classi meno abbienti e il ceto medio fosse alternativo al concetto di modernità. Ora scopriamo che è vero esattamente l’opposto; il tema delle diseguaglianze è la questione democratica. Ma a presidiare questo campo noi non c’eravamo. Eppure ci avevano avvertiti. Ralf Dahrendorf ad esempio in un libro intervista con Antonio Polito nel 2001 scriveva: “il problema della “Classe Globale” è che un sacco di gente non ne fa parte e viene lasciata indietro. La creazione di nuove ineguaglianze è ovviamente una caratteristica di ogni sviluppo capitalistico. Avvenne anche agli albori delle società industriali. Con una differenza: i poveri di allora erano necessari come forza lavoro ai capitalisti; i poveri di oggi, invece, non sono necessari alla Classe Globale”. Ecco c’è chi tra noi ha confuso il “Riformismo” giusto e utile a cambiare i rapporti di forza nella società con “il fighettismo” utile solo a rappresentare i vincitori o con “la riformite” che ha considerato utile approvare leggi a prescindere dagli effetti che producevano
Dovremo dunque sciogliere molti nodi, saper tradurre in un nuovo pensiero, in azione concreta, in ulteriori fondamentali conquiste la fiducia che ci viene accordata. Guardando al di fuori dei nostri confini e trasformando le lacerazioni interne in un pluralismo, come ha ricordato il segretario Letta, arricchente e fondato sul merito delle questioni. L’Italia ha bisogno di questo. E davvero poca cosa sono i destini personali di ognuno di noi, quando l’urgenza di una ricostruzione è sotto gli occhi di tutti. E non mancherò neppure per un momento di dare il mio contributo a partire dalle responsabilità di governo che mi vedono impegnato quotidianamente.
Letta sta tenendo dritta la barra alla ricerca di una identità forte, che si deve consolidare e aprirsi ad alleanze larghe per diventare anche elettoralmente maggioritaria. Questo suo sforzo deve essere accompagnato da un impegno collettivo, generoso, non furbesco, privo di silenzi calcolati. Aggiungo, fondato sull’orgoglio di una comunità politica rimasta viva, dopo la sconfitta delle elezioni del 2018 e l’isolamento dentro il quale ci eravamo cacciati, circondati da una marea populista. Dobbiamo essere certo un partito a vocazione maggioritaria ma non a vocazione solitaria.
Non si può pretendere di essere protagonisti del futuro, senza la consapevolezza della nostra identità e della nostra storia. Soprattutto pensando alla missione fondamentale di questo tempo: creare dopo l’incubo Covid le condizioni per il benessere dei ragazzi e delle ragazze, a cui è giustamente intitolato NextGeneration Eu, la più grande chance di rinascita dell’Italia. C’è un grande occasione. Dopo la crisi del precedente governo, il Presidente Mattarella ha messo a disposizione del Paese Mario Draghi: la personalità più autorevole e carismatica di cui dispone l’Italia. Egli sta operando con grande pacatezza ed energia. A noi spetta aiutarlo, con le nostre idee, le nostre battaglie, il nostro lavoro nei territori, affinché i compromessi e gli equilibri programmatici che Draghi saprà determinare siano il più possibile vicini ai nostri.
C’è chi continua anche in questi giorni a fare politica cavalcando le paure e dando ad esse risposte sbagliate. Ma le paure si sconfiggono se si aggrediscono le ragioni di fondo che le creano e le diffondono. Vanno sgonfiate risolvendo i problemi, non alimentando la propaganda e la confusione che creano smarrimento e solitudine. Ora è tempo di indicare e costruire la via della rinascita, le condizioni le abbiamo costruire in gran parte noi con un’agenda europea che è in gran parte la nostra: green economy, rivoluzione digitale e inclusione per creare lavoro con uno Stato più moderno e la forza delle nostre imprese. Prima del Covid in maniera retorica e noiosa si diceva sempre: questa è la prima generazione che vivrà peggio della precedente. Ecco la nostra missione, costruire le condizioni per dire a una nuova generazione, no voi vivrete meglio di noi. Non ho mai sopportato una sinistra minoritaria e subalterna, che accetta la scorciatoia identitaria del no e del parlare male degli altri per raccattare voti (pratica di cui si abusa in maniera oscena anche al nostro interno). Lasciamo questa deriva deprimente ai partitini personali che servono (poco) solo a chi ne fa parte. Ora abbiamo l’occasione di essere i veri protagonisti della rinascita e tornare ad incarnare noi la speranza. Ora è tempo di pensare al mondo nuovo e organizzare le forze per realizzarlo. Solo cosi le offerte populiste appariranno per quelle che sono: dannose e vecchie. Questa è la vera prova che il campo democratico ha di fronte.
Nicola Zingaretti è governatore del Lazio ed ex segretario del Pd